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Appunti sparsi di una psicologa su Abdul, fuggito dalla Tunisia per “troppo amore”

Abdul è scappato dalla Tunisia per sfuggire dalla vendetta dei fratelli della sua fidanzata, colpevole di essere andato a letto con lei prima del matrimonio. La fidanzata era già promessa sposa a un uomo più grande e facoltoso. La storia fortunatamente ha un lieto fine. Il racconto della psicologa che ha seguito Abdul.

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La testimonianza che riportiamo è stata raccolta da Gisella Turtula, psicologa che si occupa di clinica transculturale. Una storia di un giovane che ha lasciato la Tunisia per scappare dai fratelli della fidanzata, reo di essere andato a letto con lei prima del matrimonio. I fratelli lo volevano morto per aver infangato il nome della loro famiglia. I nomi dei protagonisti sono di fantasia, per salvaguardare la loro privacy.

La scorsa notte mentre dormivo ho sognato che Karima e i suoi fratelli mi chiamavano al telefono per dirmi di tornare in Tunisia. Mi dicevano che era un mio diritto tornare e che avrebbero organizzato il matrimonio con la sorella. Mi sono ritrovato al mio matrimonio e tutti erano felici, soprattutto mia madre e, mentre ballavamo, ho visto il fratello di Karima che ha estratto una pistola, mi ha sparato e mi ha ucciso “.

Questo il sogno, con tutta la simbologia necessaria a descrivere i sentimenti, che Abdul riporta quando è arrivato per il primo consulto.

Abdul arriva in Italia ad ottobre 2020, fuggito per eccesso di amore nei confronti della fidanzata. Abdul e Karima sono fidanzati da quando hanno 13 anni; si sono sempre incontrati all’uscita di scuola e si erano promessi amore eterno. Karima proviene da una famiglia più abbiente di Abdul, così ecco che le regole sociali impongono che Karima venga promessa in sposa ad un uomo facoltoso, un uomo più grande di cui la ragazza ha sentito parlare e di cui Abdul non sapeva nulla.

Karima una sera decide di volere trasgredire il dettame sociale e familiare e raggiunge Abdul in un nido d’amore, si fa tardi… Karima rientra a casa e i fratelli la costringono a dire dove era stata. Karima confessa, non può fuggire dalla loro violenza, dalla loro volontà di distruggere l’amore che lei e Abdul avevano costruito nei loro ritagli di tempo dalla scuola e nelle loro chat. Abdul, avvisato da Karima, inizia il suo viaggio di fuga e di disperazione verso un luogo altro, che lo potesse salvare dalla morte annunciata da Karima.

Abdul parte e si dirige in Italia, attraversando il mare e abbandonando la sua terra, quella che non avrebbe mai pensato di lasciare per “troppo amore”.

Quando Abdul arriva per un sostegno psicologico, inviato dall’operatrice che, pur non parlando arabo conosce ogni suo cambiamento del tono d’umore, è in una condizione psicologica di forte ansia e stress, a cui si aggiunge un forte senso di colpa per quello che ha procurato alla sua famiglia. Arrivano quotidianamente alla famiglia di Abdul minacce di ogni tipo dai fratelli di Karima per avere infangato il nome della loro famiglia. La madre non può più uscire di casa per le persecuzioni che riceve, cosicchè decide di parlare con l’imam della città, a sud della Tunisia.

Da quel momento in poi Abdul viene alle sedute raccontando ciò che i familiari riportano delle loro giornate di paura e terrore; Abdul porta con sè gli appunti della settimana, scrive in arabo gli accadimenti in Tunisia e me li consegna tradotti in italiano con l’aiuto del traduttore. Desidera condividere ogni informazione necessaria e mi fa dono ogni settimana dei suoi appunti. Il mediatore culturale arabo presente in stanza è il trait d’union indispensabile per garantire che le sue emozioni e i suoi pensieri vengano compresi nel suo significato culturale più profondo. La mia relazione di sintonia con il mediatore incide fortemente sull’andamento del percorso di sostegno con Abdul, confrontarci sulle questioni culturali e religiosi, dopo ogni seduta, pone le basi per la costruzione dell’ incontro successivo.

Abdul rimane bloccato per diversi incontri in una condizione emotiva di colpa e rammarico, ripetendo più volte che lui sa che nella sua cultura ciò che hanno fatto, consumare un rapporto sessuale prima del matrimonio, non è ammesso e non poteva non avere conseguenze. Decidiamo che sia fondamentale per Abdul sapere che il suo amore non può tingersi di colpa nei confronti di nessuno. E’ a marzo che arriva la svolta: finalmente la famiglia di Karima decide di trattare, di “negoziare” il matrimonio della figlia, a condizione che Abdul entro due anni abbia i soldi per la cerimonia. Da lì a breve viene celebrato il fidanzamento online, i genitori hanno pensato alla cerimonia e all’anello di fidanzamento; in seduta mostra le foto e si emoziona. E’ una seduta intensa, ricca di espressioni di gioia e di riconoscimento per le persone che gli sono stati vicine in questa fase pesante della sua vita.

Le ultime sedute hanno l’aria della rinascita, la sua espressione è più aperta e rilassata, nella sua valigia si aggiunge l’ottenimento di un permesso di soggiorno che gli consente un contratto di lavoro. Abdul adesso può continuare a sognare…

Riflessioni di una psicologa

Lavorando con i migranti ci si ritrova spesso in storie di fuga dal proprio Paese, dove alla base vi è una legittimazione nel mandato familiare o il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita in un Paese più ricco di opportunità rispetto a quello di provenienza.

La storia di Abdul mi colpisce per diversi motivi:

  • Abdul non è venuto in Italia per migliorare le sue condizioni di vita, lui stava bene in Tunisia, aveva un lavoretto e aveva un grande amore. Non aveva il mito della migrazione, lui stava bene nella sua cultura e nelle sue tradizioni ed è lui a dire che anche nello stesso parallelo lui vuole vivere nella sua amata Tunisia.

  • Fare un percorso di sostegno con Abdul ha significato soprattutto fare i conti con una cultura “altra” e un tempo “altro”. Dei fatti che Abdul riporta nelle sedute era piena la nostra struttura sociale, ma le lotte delle rivoluzioni femministe e la riforma del diritto di famiglia ha fatto sì che si arrivasse ad una pienezza dei rapporti, vissuti nella loro essenza sentimentale, affettiva e sessuale. Dire ad Abdul di non sentirsi in colpa è come cancellare e non tenere conto della sua storia, della sua stessa essenza; così ecco che fare un percorso con Abdul ha significato soprattutto sospendere qualsiasi stereotipo legato all’essere uomo e donna nel terzo millenio senza considerarne gli aspetti territoriali e quindi socio-culturali. Ha voluto dire avere un assetto mentale doppio, che tenesse conto di una faccia e del suo contrario: affrontare le dimensioni del femminile locale, italiano, occidentale, spesso riferita come una dimensione vissuta e goduta precocemente nei suoi vari aspetti (culturali, sociali, sessuali) con una dimensione molto più rigida e definita da regole culturali e religiose in cui la sperimentazione e la conoscenza di sé avviene in funzione di un Altro esternamente designato. Ha voluto dire pensare al fidanzamento come un impegno nei confronti di una comunità sociale, piuttosto che una promessa di un amore scambiato tra due entità, padroni delle proprie emozioni.

Non c’è idea che non porti in sé la sua possibile confutazione”, parafrasando Proust ho incontrato il mondo di Abdul.

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