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I diritti civili e politici durante lo stato d’eccezione: cronaca di una crisi annunciata

Il rapporto – il primo di quattro – è stato redatto da Adli, l'Associazione tunisina della Difesa delle Libertà Individuali e reso pubblico il 16 settembre. Quaranta pagine, frutto di un lavoro di documentazione ed analisi dei decreti e delle azioni del Presidente dal 25 luglio al 25 agosto 2021.

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L’Adli, l’Associazione tunisina della Difesa delle Libertà Individuali, con il sostegno dell’Istituto Heinrich Böll Stiftung Tunisie, attraverso un’attenta documentazione ed analisi dei decreti pubblicati e delle azioni condotte nell’ambito delle misure eccezionali, ha dato vita al rapporto “Diritti e libertà al tempo dello stato di eccezione – cronaca di una crisi annunciata” che prende in considerazione il periodo dal 25 luglio al 25 agosto 2021. Una pubblicazione di una quarantina di pagine che prende in considerazione i diritti civili e politici, ma non sarà l’unica: ad ottobre un secondo rapporto sarà dedicato alle violazioni dei diritti economici, sociali e culturali; a novembre un terzo rapporto sarà dedicato ai diritti dei diversi gruppi (uomini, donne, bambini, LGBTQI), mentre a gennaio 2022 uscirà un rapporto globale. Il rapporto (che potete scaricare qui in lingua francese), che vi sintetizziamo, è stato elaborato da Wahid Ferchichi, professore di diritto pubblico all’Università di Cartagine, direttore del Dipartimento di diritto pubblico alla facoltà di scienze giuridiche, politiche e sociali di Tunisi, con l’aiuto del ricercatore in diritto Mohamed Anoir Zayani.

Prefazione

Con il decreto n° 109 del 24 agosto 2021, il presidente della Repubblica Kais Saied ha prolungato le misure eccezionali relative alla sospensione dell’attività del parlamento, basandosi sull’articolo 80 della Costituzione tunisina. A questo proposito ci si interroga su quale sia il pericolo imminente che minaccia l’integrità nazionale, la sicurezza o l’indipendenza del Paese, quali i motivi della sospensione dei lavori del Parlamento, quali le motivazioni per cui queste misure eccezionali sono ancora in vigore, sottolineando come i cittadini abbiano il diritto di sapere tutto ciò. Si sottolinea inoltre come trattare i cittadini con superiorità e disinformazione non permetta di creare un regime politico giusto e trasparente, regime che non sarà possibile “soprattutto fino a quando avverrà la sospensione di un’autorità fondamentale del regime politico tunisino: il Parlamento”.

Primo capitolo: “Analisi costituzionale delle misure del 25 luglio 2021”

Dal 25 luglio 2021 la Tunisia è entrata in una nuova fase della sua storia millenaria, “marcata da una grande ambiguità costituzionale e giuridica che minaccia il processo di transizione verso una vera democrazia, così come i diritti e le libertà”. Ci si interroga a questo proposito: “il Presidente della Repubblica è uscito dall’ambito dell’articolo 80 della Costituzione? In quali misure si può sperare in un ritorno al funzionamento regolare dei poteri pubblici? Quali sono i rischi di una sospensione della Costituzione? Secondo il rapporto, se ci si riferisce alle dieci condizioni fissate dall’articolo 80 della Costituzione, il Presidente del Repubblica non ha applicato che due condizioni formali: annunciare le misure in un messaggio al popolo e limitare la scadenza a 30 giorni con la possibilità di proroga attraverso un decreto presidenziale. Ne conclude che, in assenza di conformità alle condizioni date dall’articolo 80 della Costituzione, i decreti presidenziali presi su questa base sembrano incostituzionali, definendo ciò che sta accadendo dal 25 luglio come una “messa in atto effettiva di un regime ultra presidenziale (presidenzialista)” che “prevaleva in Tunisia fino allo scoppio della rivoluzione che ha condotto alla fine dell’ancien règime nel 2011”.

Si passa poi alla Costituzione, sottolineando come la stessa non sia più applicata e venga utilizzata dal Presidente solo come “un testo provvisorio, attendendo il suo rimpiazzamento con un altro”, un’operazione che porterebbe diversi rischi, sia per la transizione democratica che per le libertà. Un rischio per la transizione democratica che guarda al passato: “tutte le esperienze precedenti hanno dimostrato che nessun regime politico democratico e sociale è stato creato dopo che il potere è stato concentrato nelle mani di una sola persona” e che questo concentramento dei poteri “apre la via alla tirannia e alla dittatura”. Sul livello delle libertà, il rapporto sottolinea che la revoca dell’immunità parlamentare è stata effettuata senza nessun fondamento costituzionale, a ciò si aggiunge il fatto che i civili siano stati portati davanti alla giustizia militare. Si conclude dicendo che “poco importa come è possibile qualificare ciò che è successo in Tunisia il 25 luglio: colpo di Stato, colpo di forza, usurpazione del potere, violazione manifesta della Costituzione: si tratta in ogni caso di una situazione grave”.

Un’organizzazione provvisoria dei poteri

Premettendo che “più le misure eccezionali sono lunghe e mancano di chiarezza, più esse diventano pericolose”, il rapporto ricorda che la Tunisia non è nuova a un’organizzazione provvisoria dei poteri, avvenuta subito dopo il post rivoluzione. Il primo regime provvisorio è stato applicato dal decreto legge n° 2011 – 14 del 23 marzo 2011, nella continuità del sistema politico stabilito dalla Costituzione del 1959. Questo testo ha organizzato i poteri del presidente la Repubblica, del governo e del Primo Ministro, così come il ruolo del potere giudiziario e delle collettività locali. Un’organizzazione provissoria, mantenuta fino alla redazione di una nuova Costituzione.

Per quanto riguarda il secondo documento organizzante provvisoriamente i poteri, fa parte dei primi testi adottati dal Parlamento eletto nel settembre 2011, ossia la legge numero 2011- 6 del 16 dicembre 2011 relativa all’organizzazione provvisoria dei poteri pubblici, che mette fine all’applicazione della Costituzione del 1 giugno 1959 e la sostituisce con una mini Costituzione, che ha gettato le basi della Costituzione del 2014. Si è passati da un regime presidenziale a un regime parlamentare. Una tappa importante: “l’organizzazione provvisoria dei poteri pubblici del 16 dicembre 2011 è un indicatore importante del cambiamento del regime politico e dell’equilibrio tra i poteri pubblici“.

Da qui i vari interrogativi: “Le misure eccezionali prese sulla base dell’articolo 80 termineranno? O si tratta piuttosto di un periodo di transizione implicita dove l’obiettivo è procedere progressivamente al cambiamento di un regime politico e all’organizzazione dei poteri, aprendo la strada alla nascita di una nuova Costituzione suscettibile di modificare la situazione che prevale dal 2014 con la nascita della terza Repubblica?

Si ricorda poi come l’attivazione della giustizia militare riporti al periodo dittatoriale: una corte di sicurezza dello Stato era stata creata tra il 1959 e il 1987 e nel 1992 si è fatto ricorso alla giustizia militare per i processi degli islamisti nel 1992. Si sottolinea come “tutti i processi civili fatti dai tribunali militari sono condannabili perché il ricorso la giustizia di eccezione è generalmente considerato pericoloso per le libertà”. Questa misura, assieme a tutte le altre, “ricorda il regime sotto il regno della Costituzione del 1959 nella sua versione iniziale, che aveva condotto alla messa in atto di un regime presidenzialista: il potere esecutivo era esercitato dal Presidente della Repubblica, con solo dei segretari di Stato, non dei ministri, dei primi ministri o dei capi di governo”.

Il tutto si conclude sottolineanco che la Tunisia attualmente si trova “in una situazione di non conformità alla Costituzione del 2014: l’articolo 80 è stato attivato ma senza essere rispettato”.

Secondo capitolo: l’impatto sui diritti civili e politici

In prima battuta si sottolinea come lo stato d’eccezione non debba trasformarsi in uno stato permanente, per non interferire su diritti e libertà e, di conseguenza, sulla sicurezza delle persone, con il rischio “di generare una dittatura tramite l’autoritarismo che esso autorizza”. Le leggi dovrebbero essere accessibili e comprensibili a tutti: è uno dei principi fondamentali di uno Stato di diritto, “anche e soprattutto durante delle situazioni eccezionali come lo stato di eccezione”. Ma “i decreti emessi dal 25 luglio 2021 sembrano piuttosto dei comunicati militari e non costituiscono delle leggi civili”. Si ricorda poi come la revoca dell’immunità dei deputati costituisce una violazione del principio di sicurezza giuridica: la Costituzione del 27 gennaio 2014 impedisce la dissoluzione del Parlamento che è considerato in stato di sessione permanente (articolo 80), di conseguenza la revoca dell’immunità parlamentare non è conforme ai principi di sicurezza e di stabilità giuridica: “il Presidente avrebbe potuto procedere con delle dei procedimenti penali contro i deputati senza necessariamente togliere l’immunità in maniera non conforme alla costituzione”.

Si sottolinea inoltre come gli arresti e procedimenti giudiziari, cominciati dal 30 luglio, siano basati sull’articolo 128 del codice penale; sull’articolo 86 del Codice delle telecomunicazioni e sull’articolo 2011-115 del decreto-legge relativo alla libertà di stampa. “Il ricorso a queste disposizioni giuridiche che esistono dal periodo coloniale e sono state utilizzate sotto la dittatura rischiano sia di interferire sulle libertà e di seminare la sfiducia e la paura sia di portare verso l’autocensura, ciò che va contro gli obiettivi della rivoluzione del 14 gennaio 2011 e della Costituzione del 27 gennaio 2014”. Una situanzione che diventa “allarmante” poiché « getta le basi dell’autoritarismo attraverso l’applicazione di testi incostituzionali”.

La messa in atto del decreto del 26 gennaio 1978: il giovedì nero

Il rapporto sottolinea altre similitudini con il passato: il ministro Anouar Maarouf è stato informato dal Ministro dell’interno della sua assegnazione alla residenza, sulla base dell’articolo 5 del decreto del 26 gennaio 1978 relativo allo stato d’urgenza. Un testo emanato dal presidente Habib Bourguiba il 26 gennaio 1978 per contrastare uno sciopero generale annunciato dall’Ugtt, con il risultato di un aggravamento della crisi tra il governo e quest’ultima, un violento sollevamento popolare con morti e migliaia di feriti, così come numerose condanne, tra cui i dirigenti dell’Ugtt dell’epoca. Un testo che “ha instaurato l’autoritarismo dell’esecutivo nel Paese”.

Per quanto riguarda il diritto alla sicurezza, si osserva “l’attivazione di testi antichi la cui azione è stato reclamata da più generazioni di giuristi. In più ci si aspettava che dopo l’adozione della Costituzione del 2014, questi testi sarebbero stati abrogati e modificati, soprattutto il decreto del 26 gennaio 1978, ma sono serviti a instaurare un clima di ambiguità e soprattutto di paura”. L’impedimento al viaggio, soprattutto nei confronti di diversi giudici, è stato attivato anche attraverso la procedura S17: in un comunicato i giudici hanno espresso il loro timori per quanto riguarda l’ingerenza del potere esecutivo nell’istituzione giudiziaria facendo ricorso a dei meccanismi incomprensibili. “La violazione dei diritti e delle libertà in un regime autoritario si fa attraverso dei testi giuridici interpretati e applicati in maniera arbitraria, attraverso l’adozione di procedure non scritte. Pensiamo che il regime attualmente applichi delle procedure liberticide e incomprensibili”.

Sezione due: le violazioni della libertà di espressione

Dal 2011 si è avuta una rottura totale con i decenni precedenti, dove nessuno poteva esprimersi liberamente e che aveva fatto della censura il controllo del potere sui media. Si ricorda come “la libertà di informazione non è solo un lusso democratico, ma un pilastro importante della trasparenza e dell’imparzialità della vita pubblica e della protezione dei diritti quotidiani dei cittadini e delle cittadine. Proteggere e garantire queste libertà e quindi il fondamento e l’essenza della democrazia al fine di preservare gli equilibri sociali ed economici”. Dal 25 luglio L’Adli segnala diverse violazioni in questo senso, perpetuate soprattutto dai membri delle forze dell’ordine, ma anche dai poteri pubblici, dalla presidenza della Repubblica e dai manifestanti. Aggressioni che sono state commesse sia in spazi fisici che virtuali, soprattutto attraverso campagne facebook con l’obiettivo di contrastare le opinioni dissidenti. “Queste campagne sono sistematiche e organizzate, si basano unicamente sull’ingiuria, la diffamazione e le accuse di tradimento”. Inoltre “dal 25 luglio le violazioni alla libertà di opinione, di pensiero, di espressione, di informazione e di stampa ricordano i metodi della dittatura”.

Conclusioni: e dopo?

In conclusione, si sottolinea come la situazione che la Tunisia sta vivendo dal 25 luglio 2021 sia una minaccia a una delle conquiste più importanti del primo decennio dal post rivoluzione: la libertà di pensiero, di espressione, di informazione e di stampa. “Le misure prese il 25 luglio 2021 non possono che confermare i timori iniziali riguardanti le misure arbitrarie prese nei confronti dei professionisti dei media, dei blogger e dei militanti. (….) Qualsiasi violazione alla libertà di espressione è inammissibile: senza libertà di espressione, la democrazia rischia di fallire, ragione per cui la vigilanza rimane più che mai attiva”.

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