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Manel Bousselmi : « In Tunisia temevo che i miei figli si radicalizzassero. In Italia combatto per una società transculturale e contro l’islamofobia »

Mediatrice culturale e presidentessa dell'associazione delle donne musulmane Fatima, Manel Bousselmi è in Italia dal 2016 : « La società che vogliamo costruire è una società transculturale, che nel rispetto dei valori fondamentali dei diritti umani sia caratterizzata dall’arcobaleno delle culture, in cui tutte contribuiscono al variopinto mondo sociale, culturale e artistico delle società che vivono mescolate nelle nostre città »

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Il 2015 è stato un anno molto difficile per la Tunisia : tre attentati (Bardo, Sousse, Tunisi) che l’hanno messa in ginocchio. Una situazione instabile che ha portato diverse multinazionali a lasciare il Paese nordafricano spostando altrove la produzione. Conseguenze che Manel Bousselmi, 38 anni, di Hammam Chatt (circa 20 km da Tunisi), ha vissuto sulla propria pelle : « Ho studiato in Tunisia e mi sono laureata in Management of quality, lavorando per sei anni in una multinazionale come responsabile delle certificazioni Iso 9001. Volevano aprire un’altra sede nel sud del Paese, ma con gli attentati del 2015 hanno trasferito il progetto in Marocco e iniziato con i vari licenziamenti. A quel tempo ero incinta e ho pensato di lasciare la Tunisia, ma mi sono detta di aspettare dopo il parto per vedere se la situazione di insicurezza in cui il Paese si trovava potesse cambiare. Purtroppo non è andata così : pensando al futuro dei miei figli, ho deciso di emigrare ».

Manel sceglie l’Italia come destinazione : a Palermo si trova suo padre, arrivato nel Belpaese più di trent’anni fa, ormai cittadino italiano : per lei non è difficile raggiungerlo con un visto e poi ottenere un permesso di soggiorno di due anni. « Siamo quattro fratelli in famiglia – racconta -. Abbiamo studiato tutti in Tunisia, ma durante il periodo delle vacanze o andavamo noi in Italia, o nostro padre veniva in Tunisia ». A Palermo Manel, che nel frattempo si separa dal marito, si laurea in Ingegneria gestionale : « Pensavo in questo modo di riuscire più facilmente a trovare un lavoro. Ma la situazione lavorativa in Sicilia non è semplice. Ho iniziato a lavorare come mediatrice culturale alla Cgil e in questo modo sono entrata in contatto con la comunità tunisina presente sul territorio, toccando i problemi e i pregiudizi a cui andavano incontro ». Manel pensa di creare un’associazione : « Mi sono resa conto che erano le donne ad avere maggiormente problemi di integrazione e difficoltà nel trovare lavoro e crescere i figli ».

E’ in questo modo che a dicembre 2019 nasce l‘associazione delle donne musulmane Fatima, di cui Manel è fondatrice e presidentessa, la prima associazione di donne musulmane in Sicilia. L’obiettivo ? Creare uno sportello di accoglienza e di ascolto con le altre donne musulmane per rompere i pregiudizi, combattere la violenza e l’islamofobia e aiutarle a risolvere i loro problemi quotidiani : « Un modo per rivendicare un posto e un’attenzione nella vita sociale di Palermo, città che abbiamo scelto per dare un futuro ai nostri figli e alle nostre famiglie ». Tre gli sportelli attivi presso il Palazzo Montevergini : lo sportello « Italiamoci », dove si insegna la lingua italiana alle donne migranti, « On parle l’arabe », dove si insegnano la lingua araba e i valori della religione musulmana e lo sportello « Sono con te », dove vengono affrontate in maniera comunitaria le problematiche socio – culturali. L’associazione, attiva nel dialogo interreligioso, fa parte del Movimento delle donne musulmane d’Italia, è in rete con l’Udi, Unione donne italiane e Non una di meno – Palermo.

« I nostri figli hanno una doppia identità : è importante non negare né quella di origine, né quella del Paese in cui vivono. La società che vogliamo costruire è una società transculturale, che nel rispetto dei valori fondamentali dei diritti umani sia caratterizzata dall’arcobaleno delle culture, in cui tutte contribuiscono al variopinto mondo sociale, culturale e artistico delle società che vivono mescolate nelle nostre città ». D’altra parte il nome Fatima non è stato scelto a caso : è l’amata figlia del profeta Muhammad, è il nome della donna che ha fondato la prima università, Fatima Al – Fihriya, un nome che richiama dunque delle donne forti, coraggiose, che costruiscono il futuro : « Donne che insegnano il valore della fratellanza e della solidarietà ». Per il loro impegno ed attivismo, soprattutto durante la pandemia, in cui hanno aiutato, assieme ad altre associazioni di volontariato del territorio, nella distribuzione dei beni di prima necessità, l’associazione Fatima è stata premiata dal sindaco di Palermo con l’attribuzione della « tessera preziosa del mosaico ».

Manel quando è arrivata in Italia, portando con sé il figlio più grande – per il secondo è stato più difficile, ha dovuto fare il ricongiungimento famigliare – non parlava italiano : « Ho imparato con mio figlio, tante parole sono simili al francese, ci siamo aiutati a vicenda. Poi ho iniziato a guardare i telegiornali alla televisione e piano piano sono migliorata » . Sulla sua migrazione, aggiunge : « L’ho fatto per i miei figli : sono tantissimi i tunisini che sono andati in Siria a combattere, nel circuito del terrorismo. Avendo due figli maschi, mi sono chiesta che futuro potessero avere, questa cosa mi ha spaventato, temevo che una volta cresciuti, senza prospettive, dopo aver studiato e trovandosi senza un lavoro né altro, potessero cadere nelle mani sbagliate. E’ importante che i nostri figli imparino da noi le basi dell’educazione islamica, non lasciare delle fragilità per fare in modo che non possano cadere nelle mani degli estremisti ».

Rispetto all’islamofobia : « Io non sono quella col velo, io sono una persona, ho le mie caratteristiche. Una volta una signora mentre ero all’asl mi ha detto ‘vai a casa tua’, io le ho risposto che ero già a casa mia e non c’era differenza tra me e lei. Siamo qui per vivere assieme e creare una società multiculturale in cui ci sia un arricchimento reciproco. In Italia sono a casa : ci sono i miei genitori, i miei figli ». Manel conclude lanciando un appello : « La scuola non dovrebbe essere un luogo di discriminazioni, eppure avvengono. Qui manca una scuola che si confronta e collabora con la società civile contro il razzismo, spiegando ai bambini il concetto della diversità e di una società sempre più multiculturale. Bisognerebbe lavorare assieme in questa direzione».

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