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Un Comitato verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif

Il giovane tunisino è morto lo scorso 28 novembre, legato ad un letto nel corridoio del reparto psichiatrico dell’ospedale San Camillo di Roma. La Procura indaga per omicidio colposo. Secondo il legale della famiglia “si configura anche il reato di sequestro di persona”

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Il 28 novembre del 2021, Wissem Ben Abdel Latif, un giovane tunisino di 26 anni originario di Kebili, muore per arresto cardiocircolatorio nel reparto psichiatrico dell’ospedale San Camillo di Roma. A distanza di qualche mese dalla morte del ragazzo, mentre si attende l’esito dell’autopsia e la Procura di Roma indaga per omicidio colposo a carico di ignoti, nasce un Comitato verità e giustizia, con l’obiettivo di ricostruire la verità e mantenere viva l’attenzione su questa vicenda. Il Comitato, promosso dalla famiglia di Wissem, insieme alla campagna LasciateCientrare, alla Fondazione Franca e Franco Basaglia e all’Associazione Sergio Piro, è stato presentato lo scorso 14 marzo presso la sede dell’Associazione Stampa Romana e ha già decine di adesioni.

Sedato e legato per oltre 100 ore

Durante l’incontro, il legale della famiglia, Francesco Romeo, ha ricostruito in maniera dettagliata la cronologia degli eventi, dal 2 ottobre (giorno in cui Wissem sbarca a Lampedusa) fino al 28 novembre (giorno della sua morte). Passando per la permanenza sulla nave quarantena, la detenzione nel Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Ponte Galeria dove arriva la diagnosi psichiatrica, il primo ricovero all’ospedale Grassi e poi il trasferimento al San Camillo. L’avvocato Romeo, sulla base di evidenze emerse da una documentazione sanitaria della Regione Lazio (Direzione regionale salute e integrazione sociosanitaria) che è riuscito ad acquisire e visionare, spiega che il ragazzo è stato fatto “scivolare verso la morte progressivamente”. Sottoposto ad una “pesante terapia psicofarmacologica” e tenuto legato mani e piedi per 5 giorni, mentre si trova nei due ospedali romani Wissem non può comunicare per via della barriera linguistica, né riceve il supporto di un mediatore culturale per comprendere la situazione, ad eccezione di una visita che però si rivela inutile perché Wissem è sedato.

Il giovane viene ricoverato nel reparto psichiatrico dell’ospedale Grassi di Ostia il 23 novembre con una diagnosi di disturbo schizoaffettivo, formulata l’8 novembre all’interno del CPR da uno psichiatra del Centro di salute mentale, e confermata due settimane dopo dallo stesso psichiatra, che a quel punto dispone il ricovero d’urgenza. Wissem resta al Grassi dal 23 al 25 novembre e in quel periodo “rimane contenuto, legato ai quattro arti, per un totale di 40 ore”, spiega il legale. “Viene slegato per il tempo necessario ad essere trasferito al San Camillo, sempre nel reparto di psichiatria, dove viene nuovamente legato ai quattro arti. Al San Camillo – aggiunge Romeo – rimarrà dal 25 al 28 novembre (…) legato per un totale di 63 ore sempre per stato di necessità”.

Ipotesi sequestro di persona

Uno stato di necessità che per il Comitato appare immotivato, dato che il ragazzo viene mantenuto per cinque giorni in uno “stato di sedazione quasi permanente”. “Lo stato di necessità – precisa Francesco Romeo – si manifesta quando il paziente è aggressivo, è violento, quando ci sono situazioni che mettono in pericolo la sua incolumità fisica o quella degli altri”. E comunque, anche in queste circostanze, non è possibile prolungare la contenzione oltre un certo numero di ore. Per tutte queste ragioni, secondo il legale, questa contenzione prolungata per stato di necessità “configura anche il reato di sequestro di persona”. Un’ipotesi di reato che “come difensore della famiglia proporrò al pubblico ministero”, riferisce Romeo. Su questo punto è intervenuta anche Maria Grazia Giannichedda, presidente della Fondazione Franca e Franco Basaglia, per ribadire che “legare una persona, reiteratamente e a lungo, non si può considerare un atto terapeutico”. “Un aspetto giuridico su cui resteremo fermi è quello del sequestro di persona – afferma – Siamo convinti che questa sia la strada da seguire e abbiamo dalla nostra parte una sentenza della Corte di Cassazione”. Il riferimento è alla sentenza nel caso di Francesco Mastrogiovanni (un uomo deceduto nel 2009 presso il servizio psichiatrico dell’ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania, dopo essere stato sottoposto a contenzione per 83 ore), con cui medici e infermieri sono stati condannati per sequestro di persona.

Dalla documentazione sanitaria ottenuta dal legale, emergono altri dettagli. Durante i due ricoveri in ospedale, Wissem“viene alimentato una sola volta il 24 novembre – specifica Francesco Romeo – poi è stato soltanto sottoposto a idratazione che si è rivelata insufficiente”. “All’interno del San Camillo non viene effettuato nemmeno un elettrocardiogramma”, nonostante alcuni valori alterati e preoccupanti (in particolare il valore dell’enzima creatina fosfochinasi risultata a 7151, ben oltre il limite di 200) che dimostravano “uno stato di sofferenza muscolare elevato per via dello stato di agitazione, costrizione, contenzione”. In generale, la cartella clinica risulta “estremamente scarna e sembrano emergere incongruità e mancanze”.

Tempi e luoghi della sofferenza

Rispetto alla vicenda di Wissem Abdel Latif, è poi importante spostare l’attenzione sullo stato di salute complessivo del giovane nelle fasi che precedono il ricovero e su tutti i luoghi che il giovane attraversa prima di morire. Tra questi, il Centro di permanenza per il rimpatrio, luogo di detenzione amministrativa non privo di criticità, in cui i migranti (in gran parte di origine tunisina) vengono trattenuti in attesa del rimpatrio, che avviene sulla base di un accordo bilaterale con il paese d’origine. Come ha ricordato la sua famiglia, Wissem arriva a Lampedusa da “uomo sano”, in buona salute e libero. Al momento dello sbarco, il personale della Croce Rossa non riscontra sintomi di disagio psichico. Dopo aver trascorso 10 giorni di isolamento su una nave quarantena, senza poter fare richiesta di protezione internazionale, il ragazzo viene trasferito nel CPR di Ponte Galeria dove documenta in alcuni video le condizioni di vita nel centro. Anche qui, non manifesta sofferenza psichica almeno fino al 25 ottobre, quando incontra una psicologa, la quale richiederà una consulenza psichiatrica esterna che avrà luogo appunto l’8 novembre.

A proposito di questa consulenza, Antonello D’Elia, psichiatra e presidente di Psichiatria Democratica, ha espresso perplessità sui tempi della valutazione e sull’uso della diagnosi come sentenza. Questa diagnosi appare infatti affrettata. Di fatto arriva dopo un solo colloquio psichiatrico. “Il disturbo schizoaffettivo viene diagnosticato (al giovane tunisino, ndr) in maniera sbrigativa e veloce – ha spiegato D’Elia – e porta poi all’esito del ricovero, del Trattamento sanitario obbligatorio e della contenzione”. Alla conferenza stampa di presentazione del Comitato verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif erano presenti anche Antonio Esposito dell’Associazione Sergio Piro, il senatore Gregorio de Falco, il deputato tunisino Majdi Karbai e Yasmine Accardo della Campagna LasciateCientrare.

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