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Uno studente Erasmus a Tunisi: la mia prima settimana

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Prima di partire per Tunisi non sapevo esattamente cosa mi aspettasse, ricordo quella sensazione mista di curiosità, entusiasmo e paura che ci accompagna ogni qual volta usciamo di casa per andare in un posto così diverso dal Paese che ci ha dato i natali. Tunisi per me è stata una scoperta e continua ad esserlo giorno dopo giorno: per un giovane arabista, infatti, il primo viaggio in un Paese arabo, dopo anni ed anni passati a vivere la lingua solo attraverso la carta stampata ed il canale A-Jazeera, non è un viaggio banale, ma può essere profondamente trasformativo.

Non dimenticherò mai il primo viaggio in taxi, appena atterrati all’aeroporto di Tunisi  – Cartagine, con il sole che era appena calato e quella strana e divertente sensazione di entrare in un’auto e sentire una radio totalmente in lingua araba, mi sentivo stranito, ma neanche troppo distante da casa perché “oh qui guidano come da noi, se non peggio”. Eppure, Tunisi è un po’ un mondo, un altro mondo, forse, per quanto distante appena un’ora e mezzo dall’aeroporto di Capodichino.

Nella Medina di Tunisi – photo credits Carlo Forziati

Giorno dopo giorno, infatti, uscendo di casa, passeggiando ed osservando attentamente quello che avevo intorno, hanno iniziato a dischiudersi davanti a me le enormi contraddizioni che attraversano questa città: ci si rende conto dopo poco, infatti, che qui molta gente lotta per vivere nel vero senso della parola, che le strade non hanno i nostri canoni di pulizia, che i mezzi pubblici sono fatiscenti quando non addirittura assenti e che molti prodotti per noi abituali qui sono quasi sconosciuti. Per un europeo può essere traumatico e, non posso negarlo, per me un po’ lo è stato.

A questo si aggiungono le difficoltà dell’incomunicabilità: l’impossibilità di dire qualcosa che arrivi a chi mi sta difronte, il constatare che l’arabo che per anni ho studiato all’università (la varietà Fusha) nella vita di tutti i giorni serve a ben poco. È stata una giravolta di emozioni e, se potessi racchiuderle tutte in una domanda, questa sarebbe: “ma dove mi trovo?” Piano piano mi stavo rendendo conto che tutte quelle differenze che finora avevo studiato solo sui libri non solo esistono, ma che viverle e sopportarle sulla mia pelle mi costava fatica, molta fatica.

La Marsa Plage – photo credits Carlo Forziati

Vivere a Tunisi vuol dire anche suscitare molta diffidenza. Solo uscendo dall’Europa, infatti, ci si rende conto dei nostri privilegi, di quanto effettivamente pesi essere nati dalla parte “giusta” del mondo: “che sei venuto a fare qua?” Ma come? Un italiano a Tunisi? E per quale motivo studi arabo?”, mi sono sentito spesso fuori luogo, talvolta in pericolo, in una parola: spaesato.

Ma, allora, perché restare? Perché continuare a vivere qui per quel periodo che mi resta di mobilità? Perché, nonostante tutto, sento che è giusto così. Sento che, nonostante difficoltà, diffidenze, fatiche, sono dalla loro parte. Tunisi, infatti, non è solo povertà e non è solo sopravvivenza: c’è tanto altro. A fianco a gente incattivita da una situazione economica sempre più difficile e precaria, se ne trova tanta altra accogliente, solare, quasi affettuosa che crede nel valore dell’ospitalità, dell’incontro dell’altro e della conoscenza

L’ingresso della Facoltà di scienze umani e sociali El Manar, Tunisi – photo credits Carlo Forziati

Durante la mia prima settimana qui, quella che ho vissuto è stata una giostra di emozioni: passavo, ogni giorno, da momenti di sconforto a momenti di entusiasmo e grande curiosità per quello che mi circondava.

Piano piano, infatti, stavo iniziando ad entrare veramente nella città, ad immergermi in essa, a conoscere nuove persone con cui potevo parlare, che mi facevano sentire accolto, che avevano pronto un sorriso ed un gesto d’affetto.

È vero: tanta gente lotta per sopravvivere ma molti decidono di farlo con grande dignità, e qui la dignità è un valore.  

Le difficoltà non sono scomparse, eppure oltre alle ombre comincio a intravedere le luci di questo posto, perché ce ne sono: amo l’ospitalità dei miei vicini, adoro il sorriso e la battuta pronta di alcuni tassisti (a proposito, che fatica prendere un taxi!), adoro il fatto che qui si mangino prodotti locali squisiti (devono piacervi piccante ed harissa però!), amo il fatto che a Tunisi ci siano dei posti incredibilmente belli da vedere, amo le sue incredibili somiglianze con Palermo e la Sicilia (“siamo un solo popolo” mi ha detto una volta un tassista in un ottimo italiano) e adoro che in questa città ci siano praticamente gatti ovunque. Lo so, per qualcuno questo non sarebbe un motivo valido per amare una città, eppure per me, gattaro incallito, lo è.

E allora, dopo una prima settimana di grande fatica, sconforto e spaesamento, inizio finalmente a prendere i miei ritmi, comincio a ritagliarmi le mie abitudini, la curiosità e la voglia di scoprire iniziano a prevalere sul timore, le mie prime parole nel dialetto locale iniziano ad arrivare a chi mi sta difronte (e questo, per un appassionato di lingua araba, è proprio il massimo!) e le strade intorno casa mia divengono un po’ più familiari. 

Non so esattamente cosa succederà da qui a maggio, tre mesi non sono pochi e la mobilità è appena iniziata, forse alla fine amerò Tunisi o forse non vorrò tornarci mai più. In ogni caso, per il tempo che rimane, resterò aperto ad ogni possibilità e suggestione che questa città avrà da offrirmi, con lo sguardo di chi ha voglia di capire ed imparare, sempre. 

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