Yosri Razgui, da Camerano al Giappone per un dottorato sulla tifoseria giapponese
Yosri Razgui, 28 anni, italo – tunisino, da due anni si trova a Kobe per un dottorato. All'università voleva studiare arabo per avvicinarsi alle sue origini, ma per un errore lo mise come seconda lingua, e come prima quella giapponese : fu amore a prima vista.
« Mio padre è arrivato in Italia nell’89 : era venuto per trovare suo fratello, che non vedeva da tempo. Mio zio gli propose di fare la stagione estiva lavorando nei campi di pomodoro : quello che guadagnò in tre mesi era una cifra ben più alta di quello che poteva guadagnare in Tunisia facendo il carpentiere. Così dopo questa breve esperienza lavorativa iniziò le pratiche per rimanere in Italia. Era già fidanzato con mia madre, che arrivò qui con ricongiungimento famigliare ». Yosri Razgui, 28 anni, di Camerano (Ancona), racconta le motivazioni che spinsero la sua famiglia a venire in Italia. Attualmente vive a Kobe, in Giappone, dove sta svolgendo il dottorato. Ma facciamo un passo indietro…
« Il mio legame con la Tunisia è molto simile al classico legame delle seconde generazioni – continua -, legato all’immaginario dell’estate, delle vacanze, del fatto del viaggio in nave, dei regali per i parenti, dell’arrivo al porto della Goulette. Le trascorrevamo dai nonni materni e paterni, che distano a soli 10 chilometri di distanza l’un l’altro, i primi a Nefza, gli altri in un paesino di campagna nella regione di Beja. A volte si andavano a visitare altri parenti o si faceva una scampagnata al mare. Ricordo che i miei fratelli ed io ci lamentavamo spesso che i nostri genitori la facevano passare come una vacanza, ma per noi non lo era. Quando andavamo in Tunisia, eravamo visti come italiani. Il tunisino lo parlo, anche se in modo macchinoso. Sono cresciuto a Camerano : eravamo l’unica famiglia tunisina, contesto familiare a parte, non ero molto esposto alla lingua e col tempo ho perso naturalezza nel parlarla ».
« Ho sempre desiderato trascorrere un periodo da solo in Tunisia : mi sono reso conto che avevo idealizzato il Paese. Vivendo in un contesto in cui non c’erano altri tunisini, la Tunisia era semplicemente la mia famiglia. Era una sorta di bolla : crescendo ho cominciato a notare che la Tunisia è tutt’altro, è caratterizzata da una diversità di pensiero. Ad esempio, la mia famiglia è molto religiosa : vedere che non tutti sono praticanti o ne rispettano i precetti come i miei genitori, ha fatto parte di una serie di shock culturali . Il desiderio di tornarci per conto mio si collega all’università : dopo il liceo scientifico ad Ancona, mi sono iscritto all’Università di Lingue orientali, la Ca’ Foscari di Venezia. Volevo studiare arabo anche per questo motivo, per avvicinarmi alle mie origini. Ma per un errore di curriculum, misi giapponese come prima lingua e l’arabo come seconda, con la convinzione che le avrei studiate entrambe allo stesso modo. Invece non fu così : lo studio dell’arabo si limitava a un solo anno e non era niente di nuovo rispetto ai corsi organizzati dal governo tunisino per i figli di immigrati in Italia, che frequentavo la domenica da ragazzino. Iniziando a studiare giapponese, fu amore a prima vista : mi sono appassionato a questa lingua e a questa cultura e ho deciso di proseguire ».
Dopo la Laurea triennale in Lingua giapponese, Yosri frequenta la magistrale in Antropologia , con una ricerca sul Giappone : « Ho scelto il curriculum antropologico per i temi che trattava, che mi riguardavano da vicino». Dopo la magistrale, riesce a ottenere una borsa ministeriale offerta dal governo giapponese, vinta tramite un concorso all’ambasciata giapponese in Italia, con la quale arriva in Giappone, a Kobe (mezz’ora di treno da Osaka), svolgendo una ricerca sul calcio professionistico giapponese, in particolar modo sulla cultura della tifoseria, per capire come quest’ultima si è adattata alla società giapponese.
La fase più difficile per Yosri, dove ha più sentito un « conflitto d’identità », sono stati gli anni del liceo : « I miei amici uscivano, andavano alle feste, e alcuni loro comportamenti, come il bere alcolici, non erano ben visti dal contesto famigliare. Da una parte quindi sentivo di non appartenere a questo stile di vita, ma dall’altra volevo uscire dalla bolla famigliare. Ho cominciato a pensare ‘Forse sono più tunisino che italiano, vivendo in Tunisia forse sarebbe tutto più semplice’, ma poi andando in Tunisia mi rendevo conto che non era proprio così. Sono pensieri che si hanno all’inizio, poi si impara a convivere, a trovare una sorta di sintesi e sentirsi un ponte, come un luogo terzo che permette di attingere un po’ all’una e all’altra cultura e trovare in qualche modo un equilibrio e una serenità ».
Per lui, nessun problema a livello scolastico : « Ricordo che le maestre della scuola primaria erano sempre carine con me, anche se, non conoscendo il significato di molte parole, facevo domande in continuazione. Non mi han mai penalizzato, ero visto come un bambino curioso di imparare. Secondo me il fatto di essere cresciuto in una realtà dove non ci erano molte persone di origine straniera ha facilitato la convivenza. Non parlo di integrazione, non è una parola che mi piace : implica che solo chi arriva in un Paese debba fare degli sforzi, invece deve essere una cosa bilaterale. Se viene a meno il processo di accoglienza, si tende ad isolarsi tra connazionali, non si cerca il contatto con gli italiani perché tutto ciò di cui si ha bisogno si trova nella comunità. Al liceo scientifico di Ancona c’erano pochissimi studenti di origine straniera : anche questo ha giocato un ruolo importante. In altri contesti, come gli istituti professionali, ci sono più seconde generazioni e secondo me si crea questa la dinamica. Mio padre è conosciuto da tutti, c’è un rispetto reciproco e rapporti amichevoli ». Il razzismo ? Solo qualche episodio isolato : « Magari molti bambini sentono i genitori utilizzare certe parole e a loro volta le usano per ferire. Nel nostro lessico italiano alcune espressioni sono date per scontate : per fortuna si sta dando sempre più valore alla parola e al modo in cui si comunica con il diverso. Ricordo però un episodio, era il 2006, quando l’Italia vinse i mondiali. Avevo visto la partita a casa con la mia famiglia, abitavamo vicino a una pineta e un piccolo parco. Corsi là fuori per festeggiare la vittoria : un ragazzo di qualche anno più grande di me mi disse che non avevo diritto a festeggiare perché la Tunisia era stata sbattuta fuori ai gironi. Avevo 12 anni, fu uno shock, anche se non credo l’avesse fatto con cattiveria ».
Per Yosri questa non è la prima esperienza nel Paese del Sol Levante : « Ci sono stato per uno scambio mentre frequentavo il secondo anno di magistrale. Avevo fatto l’Erasmus in Francia, a Lione, da settembre 2017 a luglio 2018, poiché ogni volta che dicevo che ero di origine tunisina, tutti davano per scontato che parlassi francese (essendo la seconda lingua ufficiale, ndr), invece no. Così decisi di andare lì, imparare il francese per migliorare le mie capacità comunicative in Tunisia e perché concepivo la Francia come un Paese dove la comunità maghrebina era più presente e più inserita nella società. Pensavo idealmente di trovare una sintesi tra Italia e Tunisia, ma non fu così : è vero che i francesi sono di diverse origini, e nella vita quotidiana si vedono queste persone svolgere i lavori più disparati, dal postino, agli autisti, cose che in Italia ancora non esistono. Ma ho trovato i francesi di origine maghrebina o completamente francesizzati, o l’esatto opposto, legatissimi alle proprie origini e alla religione. Il mio immaginario in questo modo è andato distrutto, ho sentito nostalgia per il Giappone e ho tentato il ritorno. Sono rimasto a Lione fino a febbraio 2019 lavoricchiando in un ristorante mentre mi preparavo al concorso in ambasciata ».
La vita in Giappone a Yosri piace molto : « E’ un Paese tranquillo, pulito, funziona tutto molto bene, soprattutto per chi è abituato alla Tunisia e all’Italia. Dall’altra parte, la burocrazia è molto complessa. Ma non ci sono grandi problemi, si vive sereni. I giapponesi sono cordiali e accoglienti, anche se è difficile creare un rapporto molto intimo ». Per il futuro « Non mi vedo troppo lontano dall’Italia e dai miei genitori ; mio padre sta pensando di tornare in Tunisia. La distanza tra Italia e Giappone è problematica, in caso succedesse qualcosa : se invece stessi in Italia, almeno potrei essere in Tunisia in poco tempo. Ho visto i miei che, estate dopo estate, facevano di tutto per poter rientrare al proprio Paese per visitare la famiglia : ciò mi spinge a pensare che cercherò di tornare almeno in Europa ».
© Riproduzione riservata