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“Io, bloccata in Tunisia con figli minori, nessun aiuto né dalle autorità italiane né tunisine”

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Nel nostro webmagazine vi abbiamo sempre raccontato, finora, storie di “coppie miste” basate sul rispetto reciproco. Purtroppo esiste anche l’altra faccia della medaglia: donne che subiscono maltrattamenti e che, avendo figli minori, non riescono a lasciare il Paese. Abbiamo raccolto la testimonianza di Luisa (nome di fantasia), con un messaggio alle donne che si ritrovano nella stessa situazione.

Ho incontrato mio marito quando avevo 17 anni, in Italia. Ho cercato di convincerlo a rimanere qui, proponendogli di lavorare in fabbrica e sposarci, ma è voluto tornare in Tunisia. Non mi dispiaceva, volevo allontanarlo un po’ dalla vita dei tunisini di strada. Ma già in nave, mi aveva detto una frase che non avevo capito sul momento, ma di cui mi sono resa conto tempo dopo: “Adesso per te è finita”, ridendo.  Ho capito molto più tardi che portarmi in Tunisia era stata una tattica per farmi allontanare dai miei famigliari e dalla mia vita sociale”. Luisa si sposa in Tunisia, ma il giorno del matrimonio succede qualcosa di inaspettato: “Mi aveva sputato in faccia perché avevo parlato con il cugino. Tra l’altro io portavo il velo in quel periodo”.

La nascita del primo figlio, la fuga, e i sensi di colpa

Luisa, tra alti e bassi, capisce che non è la vita che voleva e, dopo la nascita del primo figlio, riesce a rientrare in Italia. Ma i famigliari innescano in lei forti sensi di colpa: “Mi avevano fatto sentire come se togliessi al padre il diritto di vedere il figlio, era una situazione invivibile: non avevo la forza emotiva e psicologica di rimanere in casa con i miei genitori e non avevo soldi per affittare un’altra casa. Perciò sono ritornata in Tunisia”. Il secondo rientro in Italia avviene diversi anni dopo, con tre figli: “Lui mi stalkerava, ho chiesto aiuto anche ai miei genitori, ma non ho trovato nessun appoggio. Con una scusa mi ha fatto riportare i bambini in Tunisia, facendo leva ancora una volta sui sensi di colpa, sapendo che in Tunisia non c’era più la legge secondo la quale serviva l’autorizzazione del padre per uscire dal Paese con figli minori. Li ho mandati da lui, ma non ritornavano più; lui con un escamotage ha ottenuto dall’ambasciata il visto, senza il mio permesso, e riesce a venire in Italia. In quel momento ho rischiato che mi facesse molto male. Ovviamente una madre segue i propri figli: non avevo scelta, sono ritornata in Tunisia ripromettendomi di non perire come avevo fatto negli anni addietro”.

Le donne straniere in Tunisia non sono molto tutelate 

Il ritorno per Luisa non è semplice, ma cerca di darsi da fare per capire come uscire da questa situazione. “Ormai era chiaro: dalla Tunisia non potevo andarmene con i bambini: ho contattato uno studio legale, il divorzio è fattibile, ma se per me le frontiere sono aperte, per i bambini bisogna aspettare il diciottesimo anno di età. Malgrado non serva più l’autorizzazione del padre per uscire, quando si arriva in dogana dipende da chi ci si trova davanti, e spesso se ne approfittano vedendo una donna straniera con bambini con cognome tunisino. Difendono i propri connazionali, non importa quale sia il motivo del voler lasciare la Tunisia: vogliono l’autorizzazione del padre, o in alternativa del suocero o del cognato. E se si è in fuga, si vuole tenere un basso profilo: l’ultima cosa che si vuole è che chiamino il padre. Una donna straniera non è molto tutelata”.

Il silenzio delle istituzioni italiane

Luisa si rivolge anche alle istituzioni italiane, non solo sul territorio tunisino, ma anche nel Belpaese: non solo all’ambasciata, ma anche a centri antiviolenza e personalità politiche, ma per queste persone “più che aiuto era un voler mangiare sul mio dolore e sulla mia sofferenza. Non erano persone di fiducia, spesso cercavano di estrapolare frasi non mie, ma facendo una tecnica manipolatoria che conosco bene perché fa anche mio marito ne faceva uso. Ad esempio mi dicevano: “Lui è violento perché è musulmano, vero?”. Era più un voler farsi notare cercando di aiutarmi che un aiutarmi per davvero. Quando ho chiesto se fosse stato possibile un ritorno coi bambini, non mi hanno saputo dare una risposta certa. Mi avevano detto che avrebbero cercato di riportarli tutti e quattro, ma che c’era un grande punto interrogativo specialmente sulla piccola perché non era ancora stata registrata in Italia e che comunque non potevano darmi la sicurezza che sarebbero rimasti con me una volta rientrati. Per questo motivo ho cercato altre vie”.

In Tunisia, la denuncia dimenticata con una mazzetta

Luisa si rivolge anche a delle istituzioni tunisine, ma senza successo: “Sono andata  in una caserma molto grande che si occupa esclusivamente di violenza coniugale, sia fisica che psicologica, ma anche lì seppure sia stata accolta molto bene, una volta che ho denunciato, poi è arrivato lui ed è bastato dare qualche soldo sottobanco e la mia denuncia è passata in secondo piano. Ho trovato invece molto sostegno a livello psicologico da una psicoterapeuta tunisina. Ho un bambino “speciale”, mi reco da lei per questo suo problema e parliamo anche della mia situazione. Mi è stata davvero di grande aiuto, spiegato diverse questioni anche a livello burocratico. È stata inoltre un supporto molto forte a livello psicologico, mi ha spiegato le diverse tattiche per distaccarmi emotivamente dalla mia situazione”.

Le difficoltà come donna straniera in Tunisia

E prosegue: “Le difficoltà che si incontrano da donna straniera con figli minori in Tunisia, a parte il non poter uscire dal Paese, è essere continuamente controllate e pedinate, specialmente nel quartiere di residenza. È molto difficile uscire: io sono arrivata a rimanere in casa per tre mesi di fila: il problema è quando tu puoi uscire, ma ti vuoi recare in un diverso quartiere da un’amica o da qualcuno che potrebbe spiegare come comportarti per uscire dalla situazione in cui sei, ma è impossibile perché ogni spostamento viene riportato al marito o e alla famiglia. Poi c’è il problema della non conoscenza della lingua e molti pregiudizi sulle europee che sono da scardinare. In terzo luogo, se non si lavora è difficile uscire da una situazione famigliare complicata, ci sono case famiglia, ma sono da evitare, non sono ospitali. A ciò aggiungiamo che ci sono zone in cui le persone non affittano case a donne sole con figli o divorziate”.  E aggiunge: “La violenza psicologica viene vista come mancanza di autostima da parte della vittima o come una debolezza, non viene calcolata come quella fisica e anche lì dicono ‘Cosa vuoi fare, hai dei bambini, non ne vale la pena, vuoi risposarti un’altra volta’….”

Non fidatevi di chi alza le mani anche solo una volta

Luisa dà dei consigli per le donne bloccate in Tunisia con figli minori: “Per prima cosa consiglierei a tutte le donne di imparare la lingua, non dare fiducia a priori sulle traduzioni fatte da terze persone. Inoltre si tratta di un Paese dove le leggi sono totalmente diverse dalle nostre e anche la concezione di amore e rispetto, di maschile e femminile. Bisogna mantenere le relazioni con il Paese e la famiglia di origine e gli amici. Quando sei sola, non solo fisicamente, ma non comunichi più con nessuno, sei più debole a livello psicologico, più facile da manipolare. E poi è molto importante lavorare, mantenersi indipendenti a livello economico. L’ho vissuto sulla mia pelle, ma in generale senza i soldi è difficile poter cambiare la propria vita. Se non si vuole lavorare, avere una fonte di guadagno o se si hanno dei soldi da parte, non toccarli per le situazioni di emergenza, potrebbero servire per pagare una casa in affitto e l’avvocato per procedere con il divorzio. 

Ma soprattutto, una persona che fa violenza anche solo una volta, non dire che è stata una volta e non lo farà mai più. È stata una cosa che mi ha rovinato: ormai sono 12 anni della mia vita che ho perso. Chi compie una violenza non cambierà mai. Cercate un sostegno a livello psicologico: è il primo passo per fare tutto. Quando si è distaccati emotivamente, arriverà il resto: lavoro, divorzio”. 

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