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L’altro Natale: una prospettiva dalla sponda sud del Mediterraneo, in Tunisia

Chiara Sebastiani racconta, tra ricordi d'infanzia e quelli legati ad anni più recenti, di come i segni del Natale siano arrivati anche in Tunisia.

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Negli anni Sessanta, a Tunisi, non ricordo vi fossero grandi segni del Natale. I cristiani lo festeggiavano nelle loro case e nelle loro chiese e basta. Abitavamo nell’elegante quartiere del Belvedere e la nostra parrocchia di riferimento era l’église Jeanne d’Arc, costruita all’inizio del Novecento in stile coloniale moresco e simile ad una moschea: un cubo bianco sormontato da una cupola e affiancato da una piccola torre con bifore e merli. All’epoca il servizio religioso era una cosa tutta francese. Erano in francese gli inni natalizi eseguiti da una bella corale: c’era la versione francese di Adeste Fidelis, e c’era un assortimento di cantici natalizi rigorosamente francesi: Venez divin Méssie, Minuit chrétiens, Il est né le divin enfant. Poi si tornava a casa, a piedi, a bere cioccolata calda in omaggio alla tradizione più che per necessità climatiche. Mi pareva molto normale che intorno a noi, in città, non ci fossero tracce del Natale, nemmeno nel quartiere tutto europeo che abitavamo. La Tunisia da poco indipendente si voleva laica, come la Francia.

Sono passati oltre cinquant’anni e sette o otto anni fa ebbi l’improvviso desiderio – o curiosità – di assistere alla messa di mezzanotte nella cattedrale di Tunisi, quella che si trova nel cuore della città, dirimpetto all’ambasciata di Francia, dirimpetto alla statua di Ibn Khaldun, a due passi da Bab al-Bhar e dai souk. L’ingresso era rigorosamente sorvegliato: erano gli anni dell’Isis e degli attentati. Una volta entrata mi guardai intorno e capii come tutto fosse cambiato. Adesso la massa dei fedeli era costituita da esponenti delle comunità africane sub sahariane, perlopiù giovani. Erano loro che componevano il coro, potenti voci maschili, acute voci femminili di soprano. Ragazze strettamente fasciate in ricche stoffe di oro e argento tra un canto e l’altro si prosternavano profondamente a terra. Spiccava solo qui e là qualche anziana signora europea in mezzo a questi nuovi fedeli. Poco dopo ho avuto l’occasione di constatare quanto le cose siano cambiate anche nella chiesa dedicata a Giovanna d’Arco: adesso, oltre alle regolari messe in francese, c’è anche una messa in italiano e una in arabo.

Decorazioni natalizie in vendita al supermercato Carrefour a Tunisi, dicembre 2015

In quanto al Natale, oggi più di ieri esso concerne anche i musulmani. Non solo quelli delle famiglie miste, ma anche i nuclei familiari musulmani al cento per cento. Quello che il colonialismo non è riuscito ad imporre è arrivato con la televisione, con il mercato, con la globalizzazione e con facebook: l’albero di Natale. Commenta Kalthoum, musulmana che negli anni Sessanta frequentava, come tante ragazze bene, una scuola cattolica: “L’albero di Natale? Certo che si fa, nelle case e nelle scuole. Come Halloween, del resto: quest’anno lo hanno festeggiato alla grande in tutte le scuole tunisine”. La scuola infatti gioca un ruolo importante in tutto questo. Spiega Samia, madre di un ragazzo ora ventenne che alle elementari ha frequentato una prestigiosa scuola privata tunisina: “In tutte le scuole private si fa l’albero di Natale, si fanno le decorazioni. Allora i ragazzini, quelli delle materne e delle elementari, lo vogliono anche in casa.” Oggi abeti, veri o sintetici, vengono offerti nei grandi centri commerciali ma anche nei più bei negozi dei quartieri residenziali eleganti: “Se in questi giorni passi a El Menzah, o a Ennasr vedi alberi di Natale in offerta dovunque, con relative decorazioni.” A comperarli sono famiglie tunisine, musulmane. Samia ha fatto un albero di Natale per suo figlio ogni anno, finché è andato alle elementari. “Ma oggi il fenomeno è molto più diffuso” aggiunge. “Ed è legato anche alla diffusione delle scuole private dopo la rivoluzione. Ai tempi di Ben Ali di scuole private ce n’erano poche, i Trabelsi non lo permettevano, ora spuntano come funghi dappertutto, perfino nei quartieri popolari. Si studiano di più le lingue, il francese e l’inglese.” E con le lingue arrivano le tradizioni, e tra esse il Natale.

Così, mentre ieri per i figli degli immigrati maghrebini di prima generazione in Europa l’albero di Natale era il sogno proibito, oggi per molti bambini tunisini dei ceti medi (le altre famiglie non se lo possono permettere) un luccicante albero di Natale in casa è una normale aspettativa. E mentre in Occidente si moltiplicano le scuole che – per maldestro adattamento al multiculturalismo – hanno abolito alberi, presepi e ogni riferimento al Natale, nella Tunisia post-rivoluzionaria (chi l’avrebbe detto) il Natale è stato integrato e metabolizzato senza traumi e senza che per questo i musulmani si sentano in conflitto con il versetto che dice “A voi la vostra religione, a me la mia” (Corano 109:6).

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