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L’attacco di Saied ai migranti subsahariani e il peso delle parole

Il discorso del presidente della Repubblica, le reazioni della società civile, i dati sui flussi migratori in entrata e in uscita, una vignetta satirica che ci interroga sulla definizione di migrante economico

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“Qui siamo spaventati, ho molta paura della situazione. Sta diventando complicato con il lavoro e i proprietari degli appartamenti ci stanno cacciando”. Mariam è una giovane donna originaria della Costa D’Avorio. A Tunisi, lavora come collaboratrice domestica. In questi giorni, come molti altri migranti sub-sahariani presenti in Tunisia, ammette di essere preoccupata per il clima che si respira nel Paese, dopo le recenti dichiarazioni del Presidente della Repubblica, Kais Saied. Lo stesso vale per Toure che lavora come addetto alla sicurezza e ora sta verificando che tutti i suoi documenti siano in regola per “evitare situazioni spiacevoli” nella capitale. Mentre Ibrahim spiega di avere passaporto, carta di soggiorno e carta del consolato, che però non sempre garantiscono maggiore sicurezza: “spesso i poliziotti non chiedono neanche i documenti”, “ti picchiano soltanto”. 

Dichiarazioni, reazioni e solidarietà

Lo scorso 21 febbraio, durante una seduta del Consiglio di sicurezza nazionale, Saied ha annunciato l’intenzione di adottare “misure urgenti per far fronte al grande afflusso di migranti irregolari dall’Africa subsahariana”, sottolineando che la loro presenza è causa di “violenza, crimini e atti inaccettabili” e aggiungendo che “la migrazione clandestina fa parte di un complotto per modificare la demografia della Tunisia”, con l’obiettivo di trasformarla “in un Paese solo africano e non più anche arabo e musulmano”.

Le dichiarazioni hanno suscitato reazioni di sdegno da parte di attivisti e organizzazioni della società civile tunisina, che hanno definito i commenti del Presidente razzisti e discriminatori. Nei giorni successivi, molte associazioni di studenti africani in Tunisia hanno invitato i giovani ad essere prudenti e a prendere tutte le precauzioni necessarie, evitando di circolare in alcuni quartieri della città, e uscendo solo se necessario, comunque portando sempre con sé il passaporto e la carta di soggiorno. Diverse ambasciate si sono messe a disposizione per fornire supporto ai connazionali. Parole di condanna sono arrivate dall’Unione Africana che ha espresso “profonda preoccupazione per la forma e la sostanza delle dichiarazioni”, invitando le autorità tunisine “a trattare tutti i migranti con dignità” e “ad astenersi da discorsi di odio razzista”. 

Se il Ministero degli Esteri tunisino ha respinto le accuse di razzismo precisando che le posizioni delle autorità sono state fraintese, e il Presidente tunisino si è affrettato a rassicurare la comunità sub-sahariana presente regolarmente nel Paese, gli effetti del discorso sono stati immediati. Oltre ad alimentare la campagna di odio online già in atto da tempo, le dichiarazioni hanno avuto conseguenze concrete. Aggressioni, arresti e sfratti sono stati registrati in molte zone del Paese. In risposta alle parole di Kais Saied e agli atti di violenza, sabato 25 febbraio centinaia di persone hanno sfilato nel centro di Tunisi, dalla sede del Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini in direzione di Avenue Bourguiba, in una lunga marcia antirazzista e antifascista a sostegno della comunità africana. A pochi giorni dalla manifestazione, Maya Sahli Fadel, Commissario dell’Unione Africana per la promozione e la protezione dei diritti umani nella Repubblica tunisina, ha ribadito che “il discorso xenofobo, oltraggioso e umiliante nei confronti della comunità migrante subsahariana è inappropriato da parte delle massime autorità e che, al contrario, funge da detonatore per il risorgere di tensioni tra la popolazione con conseguenze spesso disastrose”. 

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I dati sulle migrazioni verso la Tunisia

Se alcuni analisti tunisini vedono nel discorso di Kais Saied un tentativo di distrarre l’opinione pubblica dall’ondata di arresti di oppositori politici in corso in queste settimane, la narrazione proposta somiglia molto a quella usata da alcune destre europee per distogliere l’attenzione dei cittadini dai problemi reali, attraverso la costruzione di un nemico esterno comune. Così, la rabbia sociale viene dirottata verso le persone con la pelle nera, con argomentazioni troppo spesso basate su stereotipi e non supportate dai dati. Nel caso della Tunisia, la narrazione di Saied è in parte smentita dalle cifre contenute nell’Inchiesta nazionale sulla migrazione internazionale, realizzata dall’Istituto nazionale di statistica tunisino (INS) in collaborazione con l’Osservatorio nazionale sulla migrazione (ONM), con il supporto dell’International Center for Migration Policy Development (ICMPD), nel quadro del progetto ProGres Migration finanziato dall’Unione Europea. 

Secondo lo studio, che analizza i flussi migratori in entrata e in uscita con un focus su quattro gruppi (“non migranti”, “migranti attuali”, “migranti di ritorno” e “residenti stranieri in Tunisia”), gli stranieri presenti nel paese nordafricano * sono stimati in 58.990, appena lo 0,5% della popolazione tunisina. Di questi, il 36,4% è composto da migranti subsahariani (21.466) con numeri senz’altro in forte aumento rispetto al 2014 (7.200), ma che rimangono ridotti rispetto alla totalità della popolazione tunisina. Per quanto riguarda le principali nazionalità e i profili, i migranti provengono principalmente da Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Guinea, Mali, Burkina Faso. Entrano nel Paese per motivi di lavoro (50,1 %) o di studio (32,3 %). Tra coloro che lavorano, molti sono impegnati in settori quali commercio, costruzioni, agricoltura. L’inchiesta fornisce anche un dato interessante sulle intenzioni di restare nel Paese nordafricano: il 65,7% dei migranti subsahariani afferma di voler lasciare la Tunisia. Di questi, il 59% vuole tornare nel Paese di origine alla fine del percorso di studi, alla scadenza del contratto o per motivi familiari. 

Nella maggior parte dei casi, le persone provenienti dai Paesi dell’Africa subsahariana entrano in Tunisia in maniera regolare, con un passaporto valido e senza dover richiedere un visto. In base ad una politica dei visti che consente a molte nazionalità africane l’ingresso visa free con una permanenza regolare sul territorio fino ad un massimo di tre mesi. Solo in un secondo momento, i migranti rischiano di trovarsi in una condizione di irregolarità, risultando più esposti da un lato alle sanzioni previste dal quadro normativo per irregolarità di soggiorno, dall’altro a varie forme di sfruttamento lavorativo per via della loro condizione di vulnerabilità. In questo senso, lo studio non analizza nel dettaglio la dimensione dell’economia informale e molti migranti irregolari sfuggono senz’altro alle statistiche ufficiali. 

Il colore del dolore di Othman Selmi, mostra collettiva presso lo spazio culturale Kif Kif – ottobre 2021 – photo credits Alice Passamonti

Flussi migratori e razzismo

Non bisogna dimenticare che la popolazione subsahariana in Tunisia è composta anche da persone fuggite dalla Libia o salvate in mare e che, in assenza di un sistema di asilo, chiedono protezione all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), senza che però i documenti garantiscano un effettivo accesso ai diritti. Una condizione di precarietà che l’artista tunisino, Othman Selmi, ha raffigurato nella sua opera “Il colore del dolore”, in cui affida direttamente alle voci dei migranti il racconto delle difficoltà quotidiane: tra iter di asilo, regolarizzazione, accesso al sistema sanitario, accesso al mondo del lavoro e storie di ordinario razzismo che permeano ancora oggi una parte della società tunisina. “Siedo qui sognando dimenticando cosa è successo – si legge nella tavola 6 – Ma appena provo a rimettermi a camminare i vostri sguardi mi ricordano ancora una volta che non sono una di voi”. “Il fatto che i documenti rispettassero i loro criteri non cambiò nulla dato che ero nero, né alleggerì i loro sguardi taglienti” (tavola 13). Nonostante l’approvazione, nel 2018, della storica legge n.50 contro la discriminazione razziale, secondo un sondaggio condotto da BBC Arabe tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, l’80% dei tunisini ritiene che la discriminazione sia ancora un problema nel loro Paese. Le vittime non sono solo i migranti subsahariani, ma anche i cittadini tunisini neri. 

“Black and Arab: the hidden reality of racism in Tunisia"

Oltre ad essere un Paese di arrivo, la Tunisia è anche una terra di transito e partenza per coloro che sognano l’Europa e considerano questa rotta più sicura rispetto ad altre. Secondo il rapporto “Losing Hope” a cura di Matt Herbert, ricercatore dell’istituto Global Initative against Transnational Organized Crime (GI-TOC), dalla Tunisia continuano a partire soprattutto giovani tunisini, ma si è registrato un notevole aumento delle partenze di subsahariani tra il 2018 e il 2021. Le località di partenza sono soprattutto Mahdia e Sfax. Proprio da Sfax e Medenine, altra regione in cui la comunità africana è molto presente, in questi giorni arrivano video di ragazzi feriti, notizie di aggressioni in strada e sfratti. Mentre a Tunisi, di fronte alle ambasciate e alla sede dell’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), si sono formate lunghe code di persone che hanno perso casa e lavoro e chiedono di essere rimpatriate. 

Migranti o expat?

In questo contesto così delicato, lo scorso 27 febbraio il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, in un colloquio telefonico con il suo omologo tunisino, ha ribadito il sostegno del Governo alla Tunisia nelle attività di controllo delle frontiere e nella lotta al traffico di esseri umani, auspicando una più stretta cooperazione bilaterale per affrontare al meglio le sfide nel Mediterraneo. 

A proposito di Mediterraneo, migrazioni e narrazioni, fa riflettere una vignetta che circola in questi giorni sul web. Ritrae un gruppo di europei sdraiati al sole sulla spiaggia di La Marsa, a pochi chilometri dal centro di Tunisi. Sullo sfondo, la bandiera francese accanto a quella tunisina. “La caccia ai residenti illegali presto a La Marsa”, si legge. Il riferimento è ad altri stranieri presenti in Tunisia, che entrano nel Paese come turisti senza necessità di un visto e spesso rimangono in maniera irregolare alla scadenza dei tre mesi, ma che ricevono un trattamento diverso rispetto a quello riservato ai migranti subsahariani. Come dimostra lo studio di INS e ONM, molti europei si trasferiscono in Tunisia per motivi di lavoro (20,9%) o per migliorare le proprie condizioni di vita (28,4%). Sono definiti expat, in quanto migranti bianchi, ma sono di fatto migranti economici, tanto quanto i subsahariani in Tunisia o i giovani tunisini che bruciano le frontiere. A dimostrazione del fatto che le parole che usiamo definiscono privilegi e confini, pongono le basi per future discussioni sulle politiche migratorie, creano immaginari. 

Vignetta La Marsa di Deba Tunisie

Mentre l’atmosfera a Tunisi e nel sud del Paese si fa più tesa e si moltiplicano le azioni di solidarietà da parte della società civile, Mariam ha un pensiero fisso, l’Europa. “La Tunisia sta diventando molto complicata per noi. Se riuscissi a trovare una famiglia che mi aiuta a partire, potrei andare a lavorare in Europa – scrive – Sono disposta a ripagare i soldi del viaggio. Ma non voglio restare qui o tornare in Costa d’Avorio senza risparmi”. 

* Secondo il rapporto, è considerato straniero residente in Tunisia o immigrato chiunque si trovi nel Paese da almeno sei mesi, indipendentemente dal suo status giuridico.   

** I nomi utilizzati in questo articolo sono di fantasia

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