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Ospedali pubblici in Tunisia: “Uno sbaglio farsi ricoverare lì”. Un italiano racconta

Riportiamo questa disavventura (a lieto fine) di Marco, successa qualche settimana fa. Dopo un incidente in moto, il ricovero in un ospedale pubblico a Sousse: uno sbaglio che Marco decide di raccontare

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Riportiamo questa disavventura (a lieto fine) del nostro lettore Marco, successa qualche settimana fa. Dopo un incidente in moto, il ricovero in un ospedale pubblico a Sousse: uno sbaglio che Marco decide di raccontare

10 giorni che ricorderò a lungo: ora sono a casa, tranquillo, rilassato. Sono passati solo dieci giorni, ma mi sembra un’eternità da quando sono caduto con la moto. Tre anni fa mi sono trasferito in Tunisia, ho portato con me le mie passioni più grandi: i viaggi, l’amore per il deserto e naturalmente la moto. Con la moto ho vissuto la vita come una grande avventura: per tre volte ho partecipato come concorrente nelle prime e più avventurose edizioni del rally più famoso del mondo, la Parigi Dakar, ma questa è un’altra storia….

Torniamo a quello che è successo in questi ultimi tempi: in Tunisia mi sono comprato una motociclettina, una 125, ma poi in effetti, 125 era un po’ troppo poco, e allora ho montato un motore 250 (qui si può fare). Domenica scorsa mi trovavo sulla strada che collega Douz a Matmata: come avevo fatto tante altre volte in passato, mi ero trasferito per un po’ di tempo al Sud, a dar sfogo alla mia attività preferita, andare alla scoperta delle zone più isolate, scoprire nuove piste, ma anche per  ritrovare gli amici conosciuti nei precedenti viaggi. 

La caduta in moto

Quel giorno, mentre ero alla ricerca  di una pista che raggiungeva Kebili passando per zone interne, ho commesso il primo dei due sbagli che poi hanno condizionato i giorni successivi: giunto nel punto dove più o meno doveva iniziare questa pista, per guardare meglio lateralmente ho fatto la leggerezza di togliermi il casco, e mentre ero concentrato alla sua ricerca, non mi sono accorto di una lingua di sabbia che attraversava l’asfalto. Non sarebbe stata una grande difficoltà superarla, se l’avessi vista, ma così a tradimento mi ha fregato: la forcella è andata a fine corsa, (a pacco si dice in gergo motociclistico) e sono stato sbalzato sull’asfalto. 

Subito dopo ho cercato di mettermi seduto: ero tranquillo nonostante tutto, e ho cercato di valutare i danni. Il piede sinistro aveva assunto una posizione innaturale e sentivo il sangue scorrere sul viso. A quel punto ho provato ad alzarmi, ci sono riuscito, e per qualche minuto ho anche potuto  appoggiare il piede, poi non più; ho rialzato la moto, l’ho messa sul cavalletto, e di nuovo mi sono seduto sul ciglio della strada. Per un po’ di tempo non è passato nessuno: decido di chiamare Claudio, un mio carissimo amico che abita a Douz; prima ancora di finire di spiegare  quello che è accaduto, lui è già partito per venire in mio soccorso.

La gentilezza dei tunisini nel soccorrere Marco

Nel frattempo è arrivata qualche macchina: tutti si fermano e mi chiedono se ho bisogno di aiuto, se possono fare qualcosa per me, e a tutti spiego che sta arrivando un amico per soccorrermi; qualcuno di loro decide di rimanere vicino a me, qualcuno mi offre dell’acqua, io capisco perché amo così tanto questi posti, soprattutto per le persone. E’ passata poco più di mezz’ora quando vedo arrivare in lontananza il Defender di Claudio, ringrazio le persone che sono rimaste fino a quel momento con me, Claudio intanto ha parcheggiato e si dà da fare per fissare in qualche modo la moto nella parte posteriore dell’auto. Io zampetto fino alla macchina e in qualche modo infine riesco a sedermi, torniamo a Douz  e parcheggiamo la moto in un garage. 

Sentivo la mia scarpa  bagnata, rivolgo lo sguardo verso il piede e mi accorgo di aver allagato di sangue tutti i tappetini , capisco che non posso fare a meno di ricoverarmi in un ospedale: voglio farlo vicino casa e decido di tornare a Sousse, dove abito, 400 km da dove mi trovo in quel momento. Penso a un modo per farlo,  ma Claudio è  irremovibile: ha deciso che mi accompagnerà lui. Cerchiamo una farmacia e acquistiamo del materiale per una medicazione di emergenza, torniamo al mio hotel, salgo con il culo gli scalini che mi separano dalla stanza lasciando una scia di sangue, quando mi sollevo il pantalone l’osso è a vista e il sangue esce a fiotti, tampono con più garze possibili e applico la fasciatura, per fare maggiore pressione arrotolo una busta di plastica e la lego il più forte possibile sopra alla fasciatura. 

Basta privilegi: la scelta di essere ricoverato in un ospedale pubblico

Claudio ha caricato tutti i miei bagagli, scendo di nuovo con il culo gli scalini e con l’aiuto di una scopa rovesciata a mo’ di stampella raggiungo la macchina, mi sistemo nella parte  posteriore del Defender con la gamba allungata e un cuscino sotto il piede. Partiamo, dopo un po’ mi accorgo che continuo a perdere ancora moltissimo sangue, decidiamo di avvolgere il piede in una busta di plastica e utilizzo un elastico da portapacchi per stringere forte il polpaccio, ogni mezz’ora lo allenterò per qualche minuto. Lungo la strada incontriamo diversi posti di blocco, ma i poliziotti ogni volta che mi vedono ci lasciano subito passare. 

Durante il viaggio incominciò a riflettere su dove farmi ricoverare e qui faccio il mio secondo e più grave sbaglio. Devo fare una premessa, io come del resto la maggior parte degli europei in questa Terra siamo dei privilegiati, non  dico di provare un senso di colpa, ma in tante situazioni essere un privilegiato ti fa sentire a disagio, ma sì anche un po’ di sensi di colpa, perché capisci che tutto questo non è giusto, intorno a te c’è tanta gente che soffre e non può permettersi tutte le cose che per te sono normali, la salute, l’istruzione, la sicurezza di poter mangiare tutti i giorni, tutto questo ragionare mi fa venire la voglia di dimostrare con i fatti la mia solidarietà, rinunciando per una volta ai miei privilegi. Mi farò curare in un ospedale pubblico, come fa la maggior parte delle persone che vivono qui: entrare in un ospedale pubblico significa vivere tantissimi disagi, ma se lo fanno loro per questa volta lo voglio fare anch’io. Il mio pensiero è che comunque alla fine ci saranno dei medici che operano, che fanno il loro mestiere e questo mi basta. 

In un ospedale pubblico in Tunisia: si paga tutto, dalle visite alle medicine

Il viaggio continua, nel frattempo  contatto una mia cara amica che parla italiano,  le chiedo se può aspettarmi all’ingresso dell’ospedale per aiutarmi a comunicare con i medici. E’ sera quando arriviamo, la mia amica è lì che mi aspetta, vengo sistemato sopra una barella, non c’è nessun lenzuolo solo lo sky originale completamente screpolato. Claudio riparte, ha un impegno la mattina presto, e viaggerà tutta la notte per rientrare in tempo, la mia amica resterà con me tutto il tempo necessario, e meno male, una volta che ti hanno messo su una barella devi avere con te chi la sposta da un reparto all’altro, un servizio che l’ospedale non fornisce. Per essere ricoverato devi prima pagare una tassa, una cifra irrisoria di 3-4 euro,  in seguito ogni prestazione verrà pagata anticipatamente, tipo le lastre o cose simili; stessa cosa per le medicine. 

Dopo la prima visita ti daranno una lista di quelle da comprare, così fanno anche con me e mi fanno sapere che la mattina dopo sarò operato; la mia amica mi lascia il tempo  necessario per acquistarle e ritorna. Le dicono di accompagnarmi dove mi medicheranno, chiede le indicazioni, percorriamo qualche corridoio e infine arriviamo in una sala, dove un brutto ceffo vestito da infermiere mi sta aspettando. In tutto il mondo esistono delle persone che odiano gli stranieri: sono sfortunato, mi trovo davanti proprio ad uno di questi, e non farà nulla per nasconderlo. Più che toglierla, la medicazione provvisoria la strappa, dalla ferita con vista sull’osso continua ad uscire sangue, immagino farà qualcosa per interrompere l’emorragia, invece no, un po’ pulisce un po’ tampona con del betadine, naturalmente molto delicatamente vi lascio immaginare, applica molte garze e procede ad una nuova fasciatura torcendo sadicamente il mio piede in tutte le direzioni. 

Tra infermieri indisposti verso gli stranieri e i vari accertamenti

Sono dolorante, gli chiedo di fare più dolcemente, per tutta risposta va su tutte le furie e con le dita  fa una forte pressione sulla ferita, io dal dolore non riesco a trattenere un’esclamazione, cazzo cazzo, nella sala sono presenti tre ragazze infermiere, a lui torna improvvisamente il buon umore mentre divertito spiega il significato di quella parola a le ragazze che sorridono imbarazzate,; finalmente ha finito il suo sporco lavoro.  Torniamo al punto di partenza, è tempo di andare a fare le lastre, naturalmente dopo averne pagato il costo, la mia amica procede al pagamento, torna con la ricevuta, possiamo avviarci verso il reparto, la sala dove vengono effettuate le radiografie ha le porte completamente aperte, non verranno mai chiuse. 

Le persone in attesa nel corridoio antistante possono assistere tranquillamente a tutte le radiografie che di volta in volta vengono eseguite, dico alla mia amica mia di allontanarsi per evitare le radiazioni. Fatta la radiografia aspettiamo  le lastre e torniamo al punto di partenza, dove un medico mi conferma la lussazione e la frattura della caviglia, e che l’indomani mattina sarò operato. Nel proseguo della serata verrò sottoposto a molte altre lastre completamente inutili, ma evidentemente utili al piccolo business dell’ospedale: sì perché naturalmente prima di ogni lastra toccherà pagarne il costo. Naturalmente ne fanno una  al piede, ma poi anche una  al ginocchio, nonostante io dimostri che abbia una perfetta mobilità e non avverta nessun dolore, poi sarà la volta di tibia e perone, anche in questo caso non ce n’è nessuna ragione: il problema è alla caviglia.

Una lastra dopo l’altra solo per business

Successivamente decidono di farmene una al viso, ma io non ho mai perso conoscenza, non ho dolori alla testa, e va bene lasciamoli fare, poi sarà la volta di una TAC alla testa, e infine una lastra al torace. Chiedo il motivo: non ho dolori, non ho costole rotte, a quel punto il medico con i pugni chiusi fa pressione sulle mie costole senza nessuna reazione da parte mia, per fortuna è l’ultima  a cui vengo sottoposto. Conclusa tutta questa trafila la mia amica mi parcheggia in una piccola saletta, insieme ad altre sette persone, anche loro su delle barelle dallo Sky screpolato. Chiedo di poter andare al bagno, lei dopo varie ricerche recupera una sedia a rotelle, a cui naturalmente manca una di quelle più piccole anteriori, mi accompagna al bagno e mi riporta alla mia barella, quindi torna a casa: tornerà la mattina successiva per continuare ad assistermi.

Passo la nottata senza riuscire a dormire: non ho mangiato nulla perché so che dovrò essere operato, bevo solo pochi sorsi d’acqua per evitare di tornare al bagno, visto quanto è complicato, la fasciatura del piede ormai è diventata rossa, zuppa di sangue. La mattina successiva mi faranno un’iniezione di antibiotico, utilizzando una delle quattro che mi hanno fatto comprare, (sarà l’unica che utilizzeranno delle quattro): sono un po’ sollevato perché sono pieno di abrasioni e il rischio di infezioni in quelle condizioni è sicuramente elevato. Passa la mattinata, passa il pomeriggio senza che nulla accada, quando chiedo spiegazioni mi diranno che l’operazione sarà fatta la mattina successiva. Ma neanche il giorno dopo succede nulla: torneranno a dirmi che l’operazione sarà fatta la mattina successiva, ma nel frattempo non mi hanno fatto nessuna analisi del sangue, non ho incontrato nessun anestesista e continuo a non mangiare e a bere pochissima acqua per evitare di andare al bagno.

Tre notti in ospedale, l’operazione sempre rimandata

Passerò in queste condizioni anche la terza notte, ho perso quasi completamente le forze, sono completamente disidratato. A quel punto l’unica soluzione è uscire il prima possibile da quell’ospedale, ma quando faccio sapere loro che voglio andare via, mi rispondono che non è possibile prima di essere operato, e che mi opereranno quella stessa mattina. Capisco che devo uscire a tutti i costi, in quelle condizioni mi sarebbe stata fatale la semplice anestesia, dico  loro che non se ne parla proprio, che io me ne vado, finalmente sembra che accettino la mia volontà, mi dicono però che per la pratica di uscita devo prima essere trasferito in un reparto di degenza. Ok, ancora una volta la mia amica spingerà la barella fino al posto che mi hanno assegnato, quindi mi lascia per andare a fare le pratiche di uscita e cercare un taxi. Mentre sto aspettando il suo ritorno arrivano tre infermieri, uno di loro una siringa già pronta in mano, chiedo a quello con la siringa che cosa deve fare, mi risponde che è la pre anestesia, non ci posso credere, mi arrabbio e mi metto seduto sulla barella: a quel punto rinunciano e vanno via. Mi volevano anestetizzare a tradimento per poi operarmi, fortunatamente dopo un po’ torna il mio angelo custode, ha pagato le ultime spese,  finalmente possiamo andare via, cerca inutilmente una sedia a rotelle, alla fine utilizzerà ancora una volta la barella per condurmi all’uscita dell’ospedale. Il taxi è già lì che ci aspetta, saliamo  e torniamo a casa, sono salvo.

Ritorno a casa a Sousse e l’operazione in una clinica privata

Fortunatamente la mia casa è a pian terreno e devo percorrere solo pochi metri per entrare, mi gira la testa, ho la sensazione che sto per perdere i sensi, per fortuna lei se ne accorge e mi mette immediatamente una sedia vicino,  mi siedo  e piano piano mi riprendo. Nelle ore successive berrò lentamente e a piccoli sorsi un litro e mezzo di coca-cola e 2 litri d’acqua,  finalmente  mangio un’enorme bistecca; incomincio a sentirmi meglio, un po’ alla volta tornano le forze. Chiamo una dottoressa mia amica e le spiego tutto quello che è successo, lei prenderà accordi con una clinica dove mi dovrò ricoverare la mattina successiva, ci sarà un medico ortopedico che mi aspetta per visitarmi, e successivamente operarmi. 

L’indomani alle 8.00 sono in clinica, subito, medici, infermieri, anestesisti si occupano di me, mi sottopongono a tutte le analisi del caso e dopo tre ore sono in sala operatoria, mi praticano l’anestesia lombare,  chiedo con insistenza di poter assistere all’intervento  ( l’ho già fatto in passato ma il medico era un mio amico), niente da fare, mettono una barriera visiva tra me e i chirurghi. L’intervento dura quasi 4 ore,  sento tutte le manipolazioni che fanno, finalmente hanno finito, e con un po’ di ferro dentro e fuori al piede torno nella mia stanza, sono rilassato, non sento dolori particolari e finalmente vedo il mio piede nuovamente in una posizione naturale. La giornata finisce tranquillamente e sarà così anche nei successivi quattro giorni: gli infermieri passano ad ogni ora del giorno e della notte per praticare le  terapie, antibiotici eparina eccetera. 

Un’amicizia riconfermata

Durante questi quattro giorni succede una cosa inaspettata che mi ha reso immensamente felice: in questi anni passati in Tunisia avevo conosciuto una persona per me molto speciale, con cui era nata un’amicizia bellissima, una persona a cui voglio un mondo di bene che ho sempre dentro al mio cuore; qualche mese fa delle incomprensioni ci hanno fatto allontanare, ci tenevo così tanto a questa amicizia e ho sofferto molto per questo, e quando un mattino l’ho vista apparire sorridente nella mia stanza, ero così felice che in un istante  ho capito che sarei stato pronto a riaffrontare di nuovo tutto quello che avevo passato  per rivivere questo momento. Pace fatta, magari in  futuro capiterà che ci incontreremo solo una volta l’anno, però sarà bello sapere che questo potrà accadere, e che sarà un gran piacere ogni volta che capiterà.

Credo che il racconto di quello che è successo in questi giorni possa finire qui, ora mi trovo a casa mia, oggi sono tornato in clinica per la prima medicazione, tutto procede per il meglio, non vedo l’ora di guarire per tornare a vagabondare nel sud della Tunisia.

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