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Impara a nuotare: prime bracciate in Tunisia

Beatrice Depretis, per la prima volta in Tunisia, racconta le sue impressioni sul Paese. Girando diverse città si imbatte più voltr in un'opera di street art con un monito premuroso e minaccioso allo stesso tempo: impara a nuotare

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Tunisia, agosto 2021. Nella costante e affannosa ricerca di intervalli di tragitto che fronde di palme generose difendano dal sole infuocato, cammino per le strade di Tunisi, Bizerta, Hammamet, Nabeul. Le lunghe giornate di un’estate più rovente del solito sono accorciate dall’inclemenza di un coprifuoco tentennante e ballerino – alle 20, quindi alle 19, attualmente alle 22 – che sembra riflettere, nella sua incertezza, le diverse crisi, da quella pandemica a quello politico-istituzionale, che lo definiscono e che si avvicendano fino a sovrapporsi l’una sull’altra. Faccio slalom tra le auto e i motorini che procedono a fatica nel traffico ostinatamente disordinato: è l’arma pedonale vincente invidiata dai conducenti di veicoli inesorabilmente compressi e che, dal canto loro, ribattono con colpi di clacson sincopati e vani. Il mio sguardo, forte della profondità e dell’innocenza della prima volta in Tunisia, si posa sugli asciugamani colorati che pendono pesanti dallo stendino posizionato a guardiano di un coiffeur, sui gesti rapidi e precisi di mani ruvide che mai avrei immaginato potessero tessere con tanta finezza delicate composizioni di gelsomini, su maleodoranti distese di spazzatura in cui orde di affamati gatti randagi frugano agili e attenti.

Ascolto consigliato durante la lettura: Yuma - Smek

Spesso, a catturarlo prepotentemente, quello sguardo famelico, sono enigmatici murales in arabo tunisino – ma non solo – su cui indugio un po’ più a lungo servendomene come esercizio linguistico pratico e democratico. Scopro allora che Revolution spirit grida con un pennarello che il vostro (nostro?) sistema è al muro, ammiro i tratti decisi con cui Yasmin dipinge la sua empatia per la causa palestinese, e sorrido nell’imbattermi nella celebrazione in rosso fuoco de il capo della capitale in un italiano per niente ectopico (nel conoscere molte persone che fanno sfoggio di un ottimo italiano, scopro che, oltre all’evidente vicinanza e agli scambi migratori, fino ai primi anni duemila Rai1 e Raffaella Carrà spopolavano nelle case tunisine).

C’è un’opera di street art che si ripete sui muri di diverse città della Tunisia come un monito tanto premuroso quanto minaccioso: impara a nuotare. Sorvolando sulle speculazioni interpretative di questo imperativo categorico, che assumono talvolta toni drammatici (non riesco a non pensare all’imparare a nuotare come metafora, neanche troppo figurata, del saper affrontare il Mediterraneo nella speranza di un futuro migliore in Europa – desiderio di molti tunisini, per lo più giovani, con cui mi sono trovata a parlare -, preferisco meditare, piuttosto, su cosa significa imparare a nuotare, per una straniera, nelle multiformi acque tunisine.

I sorrisi morbidi e accoglienti delle donne che incontro mi parlano di una tolleranza che attraversa trasversalmente un tessuto sociale fortemente variegato, rispetto al quale mi colloco, da visitatrice, di lato, e al cui lato raramente mi sento inadeguata. Acque calme e dolci in cui sguazzo beata, che si agitano allegramente quando si tratta di nuotare in una quotidianità divertente e nevrotica, incarnata magistralmente, a mio avviso, dai confusivi codici di utilizzo dei taxi collettivi. Un sistema di trasporto semi-pubblico, estremamente comodo ed economico, fatto di van che ospitano sette/otto passeggeri in tre file di sedili; mentre il van sobbalza al ritmo di una guida vivace e di una colonna sonora eclettica che spazia da canzoni arabe tradizionali al reggaeton, i passeggeri delle prime due file si fanno anelli di una catena umana finalizzata al pagamento del conducente. Monete e banconote passano silenziosamente di mano in mano fino a raggiungere l’autista che, la mano sinistra a controllare il volante, distribuisce con la destra i vari resti dando prova di un’eccellente ampiezza di sguardo e di un’impeccabile memoria. La catena quindi riparte, al contrario, come un’onda di questo mare un po’ agitato, e io ne rimango terribilmente affascinata.

Sul louage da Tunisi ad Hammamet - photo credits Beatrice Depretis

E infine, quando la sera si avvicina e la morsa del caldo si allenta, le acque si quietano definitivamente. Un accenno di brezza proveniente dal mare accarezza quei volti che la bramavano da ore distendendone le tensioni accumulate nel corso della giornata infuocata. Senza fretta, ma con movimenti decisi ed esperti, i venditori ripongono i banchi su cui giace disordinata la merce invenduta, mentre famiglie numerose si fiondano sulle spiagge e i ragazzini esibiscono le loro doti calcistiche nei vicoli della medina. È questo, forse, il momento che in assoluto preferisco: quello in cui posso finalmente abbassare la guardia, e godermi la morbida luce del tramonto mentre faccio il morto a galla.

Beatrice Depretis

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Un graffito nella medina di Tunisi - photo credits Beatrice Depretis
Sul tram di Tunisi - photo credits Beatrice Depretis
Per le strade di Hammamet - photo credits Beatrice Depretis

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