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In cosa mi ha cambiata la Tunisia?

Vivere in un Paese porta irrimediabilmente a fare i conti con se stessi e a mettere in discussione ciò che si aveva appreso fino a quel momento

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La nostra Kyra Ferrari Fitouri nella sua rubrica “Una mamma Green in Tunisia” ha parlato spesso del fatto che vivere in un Paese, inevitabilmente, ci cambia, nel bene o nel male. E così è stato anche per me. 

Sono arrivata a Tunisi nell’aprile 2014, con due valige e tanti sogni. In Italia non avevo nulla da perdere: mi ero laureata – in mega ritardo perché nel frattempo vivevo da sola, scrivevo per il giornale locale e facevo altri lavoretti -, ma già allora le prospettive lavorative non erano granché, soprattutto nel campo dei media. Mi ero detta che Tunisi era la mia grande occasione per poter diventare una corrispondente dal Paese. Ero molto idealista – probabilmente anche ingenua – nel pensarlo. Non è stato così. Farsi strada nel panorama mediatico italiano non è semplice. Non lo era allora. Non lo è tuttora. E il sistema mediatico spesso, quando lo si conosce dall’interno, è molto deludente. Ed è anche uno dei motivi per cui questo progetto editoriale è nato. Ma questa è un’altra storia.

Photo by JESHOOTS.COM on Unsplash

La Tunisia mi ha insegnato a credere di più in me stessa: quando ti ritrovi solo in un Paese straniero, devi far fronte a tutte le tue risorse. “Ma non eri sola, avevi tuo marito” qualcuno potrebbe ribattere. Vero, ma lui studiava e lavorava: di fatto il Paese l’ho dovuto conoscerlo con le mie sole forze. Senza contare che ho viaggiato spesso da sola in zone in cui lui non aveva mai messo piede, e in cui non era intenzionato ad andare, come Sidi Bouzid e Kasserine.  La mia condizione di donna italiana ha aiutato non poco: l’Italia è sempre stata ben vista ed amata – e anche una meta agognata -, l’essere giornalista italiana era un plus: a parte eccezioni – perché i maleducati ci sono ovunque -, quando chiedevo di realizzare interviste presentandomi, ottenevo risposte immediate. Come ha testimoniato Flavia in questa intervista, la Tunisia ha saputo valorizzarmi e io ho ritrovato fiducia in me stessa.

Foto di Lukas Blazek su Unsplash

La Tunisia ha cambiato la mia concezione del tempo: in Bergamasca bisogna essere produttivi, quasi senza mai fermarsi. In Tunisia il tempo è rallentato, quasi ovattato. Anche se Tunisi è estremamente caotica, all’ora di punta il traffico nel centro è pazzesco e le persone si arrabbiano per poco e il suono infinito del clacson copre tutto il resto. Ma per bere un caffè, non esiste ad esempio la concezione di un caffè veloce, al banco, in piedi. Il caffè va gustato lentamente, fino a diventare perfino freddo, ma prendendosi tutto il tempo necessario. E ciò porta a riflettere su quello che davvero conta nella propria vita. 

La Tunisia ha rafforzato le mie radici: ho lasciato l’Italia nel 2014 con molta amarezza, per ritornarci nel 2016, esattamente due anni dopo. Eppure, vivendo in Tunisia, mi sono resa conto delle cose che davo per scontate e che invece mi sono mancate. Non parlo degli affetti – la nostalgia della famiglia e degli amici di una vita penso riguardi tutti -, ma anche solo di una passeggiata in città alta, della multiculturalità presente nella società, con le varie iniziative volte al dialogo interreligioso, ma anche le cose più piccole e banali, come avere il riscaldamento in casa, una sanità ben funzionante nonostante le sue lacune. Il mio legame con l’Italia, nonostante la consapevolezza che ci siano tante cose che non funzionano ancora, si è rafforzato. E se prima vivere in un paesino di provincia bergamasco di nemmeno 3 mila abitanti mi faceva sentire soffocata, le volte che lasciavo Tunisi per andare a trovare la famiglia, era come capitare in un’oasi di pace e tranquillità.

Foto di Emma Gossett su Unsplash

La Tunisia mi ha costretta a cambiare la mia visione eurocentrica: vivere in famiglia per quasi un anno, abitare in un quartiere popolare in centro a Tunisi e lavorare in un ufficio in cui ero l’unica straniera, mi ha permesso di osservare le cose da un’altra prospettiva. E capire che, purtroppo, per certi versi, tutto il mondo è paese. Mi sono scontrata ancora più da vicino con le difficoltà di ottenimento del visto, con il dolore delle famiglie degli scomparsi, con il razzismo verso i tunisini neri, con il regionalismo tunisino, con i pregiudizi che ci possono essere – dall’una e dall’altra parte. Cresciuta in un certo contesto, ho dovuto adattarmi a un altro, in cui non sempre ciò che credevo fosse giusto lo era davvero. E così mi viene in mente un biglietto che mi fu consegnato alla mia partenza, che si lega anche al punto precedente: “Quando si è profondamente radicati, si è pronti a tutte le aperture. Come diceva Aimé Césaire: porosi a tutti i soffi del mondo”.

C’è un gesto che ormai mi accompagna dal 2014: la mano sul cuore per ringraziare. Anche quando non sono in Tunisia, mi viene spontaneo ringraziare in questo modo.

E voi, qual è stata la vostra esperienza? In cosa vi ha cambiato questo Paese?

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