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La diaspora tunisina in Italia : « Siamo gli immigrati più marginalizzati e meno integrati »

Riportiamo qui di seguito una riflessione di Adel Chehida e Nabil Labidi

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Riportiamo qui di seguito una riflessione di Adel Chehida e Nabil Labidi, e in introduzione un loro aggiornamento affinché si contestualizzi la suddetta riflessione al quadro attualmente prevalente, sia a Tunisi che in Italia, all’interno della diaspora tunisina.

« Questa nostra riflessione si ripropone con particolare interesse legato al rischio di maggiore emarginazione dell’élite della diaspora, tenendo conto dell’attuale deriva autoritaria autocrata a Tunisi e di tutte quelle misure prese al vertice di un potere ormai senza freni o meccanismi istituzionali di controllo e di opposizione allo stesso potere. Il rischio di soppressione o di emarginazione dei corpi intermedi minano ogni progettualità o prospettiva presente e futura di un credibile attivismo civile e associativo, rovinando di fatto la legittima speranza in una cittadinanza attiva e partecipativa, condizione essenziale alla conquista della dignità e la giustizia sociale di cui era pregna la rivoluzione tunisina.

Questa riflessione si appoggia, inoltre, al frutto di una sintesi di presenza effettiva sul territorio italiano a contatto di varie realtà della diaspora, fra i quali la seconda generazione e propone a chI fosse interessato un riferimento che potrebbe essere utile ad ulteriori approfondimenti o dibattiti. Essa interpella una diaspora attualmente fratturata, estremamente vulnerabile sia nella sua coesione che nei suoi rapporti con le autorità consolari. Ne dovrebbe rispondere l’attuale attivismo populista in cui sono coinvolti alcuni seguaci del regime populista tunisino col benestare e la complicità attiva di alcune autorità consolari, come quella che presiede attualmente alle sorti e al funzionamento del consolato generale della Tunisia a Milano. Tale coinvolgimento dei consolati ricorda il dominio del pensiero unico prevalso a suo tempo all’epoca di Ben Ali, e gli stessi meccanismi di controllo della diaspora nonché le stesse rovinose pratiche propagandistiche, tutte caratteristiche dei sistemi totalitari che stanno facendo il loro ritorno sotto le vesti del populismo.

Perché la diaspora tunisina è fra le più marginalizzate e meno integrate fra gli stranieri residenti in Italia? Perché tanta precarietà e tante cronache legate alla microcriminalità fanno così spesso da filone sfruttabile a piacimento dai giornali carta straccia in cerca di titoli ammiccanti per lettori in cerca di sensazioni? Perché i tunisini in Italia non sono riusciti a rispecchiare l’immagine di una comunità ben integrata, alla pari di altre comunità di stranieri, se non meglio di quelle sbarcate ed integrate ben dopo l’arrivo dei primi flussi di immigrati tunisini in Italia negli anni ’70 e ’80 prima della caduta del muro di Berlino e prima quindi dell’arrivo in massa degli europei dell’Est in Italia, compresi gli albanesi che sono anche loro in maggioranza musulmani?

Sono tante le domande che potremmo porci mettendo a confronto l’immagine che si ha dell’immigrazione tunisina in Italia con l’immagine che riescono invece a dare altre comunità di stranieri in Italia. Prima della rivoluzione tunisina, gli immigrati tunisini residenti in Italia, come d’altronde tutti gli altri tunisini residenti ovunque nel mondo, erano strettamente controllati da una fitta rete di informatori dipendenti dagli apparati securitari tunisini sparsi ovunque nel mondo. Era impossibile per l’élite della diaspora o qualsiasi immigrato muoversi al di fuori dei sentieri consentiti dal sistema senza rischiare di essere intercettato e di essere oggetto di una segnalazione alla centrale dell’intelligence con la famosa scheda “ostufida“. Perciò l’unico impegno associativo volontario dedicato alla comunità era quello promosso e controllato dalle cellule del partito al potere a Tunisi, poiché ogni forma di associazione al di fuori del sistema veniva percepita con diffidenza dalle autorità tunisine, se non addirittura schedata come opposizione, soprattutto se raggruppava degli immigrati fuggiti dalla persecuzione della dittatura. Quindi sebbene sia antecedente all’arrivo di altri stranieri, come quelli dell’Europa dell’Est, l’immigrazione tunisina in Italia non poteva organizzarsi in modalità che potevano dare risalto al valore della cittadinanza attiva e partecipativa. C’erano soltanto cellule che organizzavano con il patrocinio delle missioni consolari pranzi, cene e concerti con artisti che venivano ad animare feste in locali dove la foto del dittatore era abbinata alla bandiera nazionale e dove non c’era alcun spazio per il dissenso e ancora meno all’assistenza di chi non faceva parte del sistema.

All’indomani della rivoluzione, nel 2011, arrivavano in Italia decine di migliaia di tunisini e coloro della diaspora tunisina in Italia che hanno seguito dal loro esilio il susseguirsi delle manifestazioni di rivolta popolare che hanno condotto alla fuga di Ben Ali il 14 gennaio 2011, si sono adoperati volontariamente con degli amici italiani per tentare di risolvere al meglio la questione dell’emergenza umanitaria legata all’accoglienza di questi tunisini approdati in Italia senza alcuna progettualità e senza risorse ; organizzandosi per la prima volta in una rete di contatti che ha fatto loro conoscere i loro connazionali, in uno sforzo rivolto a servire l’immagine della Tunisia e dell’immigrato tunisino in Italia.

Sfortunatamente il sistema non è mai sparito, bensì riconvertito e numerosi servitori del vecchio sistema si sono insediati nel tessuto associativo tunisino in Italia sorto all’indomani della rivoluzione. Altra sfortuna nella sfortuna, il riempimento del vuoto lasciato dalla dissoluzione del RCD e delle sue cellule sparse ovunque all’estero sul campo del controllo della diaspora, da parte dell’attivismo islamista del partito Ennahda che ha governato per dieci anni dopo la rivoluzione. Questa è una sintesi schematica, che non restituisce le varie sfumature del panorama della presenza della società civile tunisina in Italia, ma che potrebbe aiutare a capire o almeno a cercare una chiave di lettura di questo perdurare dell’emarginazione e della precarietà dell’immagine della diaspora tunisina in Italia.

Ora cosa abbiamo di fronte a noi, in termini di visibilità e di incidenza sull’immagine dell’immigrato tunisino in Italia? Abbiamo una prima fetta costituita da persone che vivono ai margini della società italiana senza essere riusciti ad integrarsi, specialmente quelli arrivati di recente senza documenti in regola e quelli arrivati già da prima della rivoluzione senza essersi mai integrati. È fra questa categoria che si nutre in prevalenza la cronaca della microcriminalità narrata sui giornali carta straccia. In una seconda categoria altrettanto “visibile” abbiamo dei nuclei familiari costituiti col ricongiungimento familiare e che hanno già procreato giovani italo tunisini, in balìa del conflitto identitario. Fra questi giovani spuntano figure eccelse che rispecchiano il modello del successo tramite il merito acquisito faticosamente con lo studio e le qualifiche professionali ed accademiche. In altri casi troviamo artisti talentuosi e cantanti famosi come Ghali.

Purtroppo in questa categoria risuonano spesso con clamore casi di radicalismo islamista che abbiamo seguito con preoccupazione sui notiziari TV, come la ragazza tunisina trevigiana andata ad arruolarsi nelle file del califfato islamico dell’ISIS in Siria. Quindi abbiamo a che fare con una seconda generazione che non ha avuto la possibilità di conoscere la Tunisia plurale e mediterranea, ma soltanto il proselitismo diffuso in Occidente tramite il web e le reti di reclutamento, che hanno convertito al radicalismo persino giovani nati da genitori italiani cattolici. Giovani che della Tunisia conoscono soltanto le cartoline e i cliché turistici o il couscous della nonna e i raduni estivi dei matrimoni che si svolgono durante le vacanze estive in Tunisia!

Al di fuori di queste due prime fette di tunisini o italo tunisini presenti nel Belpaese, ci sono altre categorie di “immigrati” di origine tunisina, presenti in Italia. Ci sono i tunisini che hanno travalicato le frontiere, le categorie, le etichettature e che sono diventati perfetti cittadini italiani a tutti gli effetti oltre ad essere cittadini del mondo. Poi ci sono quelli che sono riconducibili al mondo accademico scientifico/ letterario o al mondo degli affari compreso quello del showbiz. Ghali lo ritroviamo pure qua! Qua troviamo personaggi illustri e famosi del jet-set come Tarek Ben Ammar o Afef Jnifen e così via. Ci stanno qua anche gli immigrati tunisini altamente qualificati, come coloro che sono arrivati in Italia a fare delle spiccate ricerche nell’astrofisica per esempio o in biotecnologie e anche i medici che sono diventati pionieri ed innovatori nelle loro specialità e così via. Questi ultimi li possiamo catalogare come membri dell’élite tunisina presente in Italia.

Se le due prime categorie brillano per la loro esasperante visibilità attraverso i fatti che nutrono le cronache della delinquenza o del radicalismo islamico, l’ultima fetta della popolazione tunisina o di origine tunisina riconducibile alla così detta élite brilla invece per la sua assenza totale dal campo dell’impegno associativo volontario a favore dell’immagine dell’immigrato tunisino in Italia. Eccezione fatta di qualche richiamo fatto alle origini tunisine nel caso di un cantante come Ghali o Mbarka Ben Taleb, i successi scientifici degli altri tunisini sono raramente abbinati alle origini tunisine nelle conferenze o durante le premiazioni accademiche.

Ora proviamo a capire meglio e nello specifico le varie disfunzioni al livello dell’impegno associativo a favore della diaspora tunisina in Italia. Nella mappatura attuale spicca l’alleanza delle associazioni dei tunisini in Italia, detta Rabta : essa raduna una trentina di associazioni fra i quali ci sono divergenze di natura ideologica e di simpatie o affiliazioni politiche. Essa rispecchia, nell’insieme dei dispiegamenti che ritroviamo nel panorama dell’attivismo associativo volontario, ma anche nell’attivismo politico fra i vari componenti della diaspora, i vari schieramenti politici attualmente vigenti dall’altra parte del mare Mediterraneo in Tunisia. Di fatto, anziché essere un raccoglitore e un fattore di unità, l’attivismo associativo nella diaspora tunisina in Italia è diventato una cassa di risonanza che amplifica le divergenze ed accentua le fratture fra gli attivisti. Tali divergenze sono addirittura sfociate in scontri verbali ed attacchi personali a delle personalità impegnate nella società civile in Italia, sulla base delle varie alleanze, durante l’ultima campagna elettorale legislativa.

Quindi non si riesce ancora a trovare il modo di fare interloquire in modo proficuo i vari protagonisti sulla base di obiettivi comuni per i quali si possa avviare una collaborazione che prescinde dagli suddetti schieramenti e divergenze. Si procede invece sulla base delle affinità personali tra alcuni protagonisti in precisi casi umanitari che necessitano una collaborazione collegiale. Dal canto suo l’elezione di deputati della diaspora, sulla base di una appartenenza partitica politica, non ha ancora potuto fruire esiti positivi al di fuori dell’impegno militante politico e civile umanista di un unico deputato già abitudinario dell’impegno umanitario in collaborazione con famose ONG.

Questo in breve è il quadro rappresentativo politico ed associativo civile preposto a delle eventuali azioni politiche e civili a favore dell’immigrato tunisino, la sua immagine nonché il brand dell’immigrazione tunisina in Italia. Come si può immaginare, non esiste un substrato comune strutturato, che consenta un’interazione a livello civile o politico, una dinamica sinergica e coordinata! Al contrario, la nostra è una realtà caratterizzata dalla ricerca del protagonismo individuale, sia al livello degli attivisti che al livello delle stesse associazioni, soprattutto se hanno affiliazione politica o sono impegnate in attività redditizie rivolte all’immigrato. Contrariamente a ciò che caratterizza altre diaspora, come quella dei bengalesi o dei marocchini, la diaspora tunisina è quindi caratterizzata da una grande dispersione, alimentata da divergenze politiche e conflitti di interesse sempre più aspri, crescenti in proporzioni eguali agli scontri politici specifici allo scenario politico tunisino.

Quello che lo scorso anno è successo al livello della Rabta – alleanza delle associazioni dei Tunisini in Italia – nella difficoltà a produrre un comunicato che esprima un posizionamento della diaspora o parte di essa nei confronti di ciò che sta succedendo giù in Tunisia, ne illustra la gravità! Un’alleanza di associazioni messa nell’impossibilità di comunicare una posizione nei riguardi di movimenti di protesta popolari e sfascio avanzato dell’economia e delle capacità della Tunisia a fare fronte alla pandemia in corso, mettendo a repentaglio la salute e le vite dei cittadini condannati a convivere col SARS-COV-2 e a patire la miseria e la fame come non è mai successo nella recente storia della Tunisia, è di per sé un fatto gravissimo! Come potrebbe inoltre la società civile tunisina in Italia agire sulla realtà triste in cui si trova confinato il brand dell’immigrazione tunisina in Italia, già sofferente da prima della pandemia, se i membri dell’élite della diaspora sono sconnessi dalla medesima società civile e non hanno alcun modo di assumere un qualsiasi ruolo di mediazione o rappresentanza che possa giovare ai componenti più vulnerabili e precari della popolazione tunisina in Italia?!

PROSPETTIVE E PROPOSTE

Nell’assenza di qualsiasi cambio di passo a livello organizzativo nel panorama dell’impegno associativo e volontario dei tunisini in Italia, la diaspora continuerà a soffrire di fratture e di dispersione, impedendo qualsiasi sforzo coordinato e sinergico a favore degli ultimi e dei vulnerabili, specialmente le donne, i minorenni tunisini non accompagnati e i giovani della seconda generazione. Fra i vulnerabili ci sono anche e soprattutto gli studenti che si sono trovati maggiormente esposti con la pandemia e le restrizioni che hanno tolto loro la possibilità di fare dei lavori part-time. Nell’impegno consentito a favore degli studenti, serve un sostegno coordinato ai giovani tunisini residenti in Italia e anche degli italo tunisini che stanno cercando di organizzarsi tramite varie iniziative che potrebbero migliorare le condizioni di arrivo e di accoglienza degli studenti universitari tunisini in Italia e la sottrazione del circuito della cooperazione culturale ai mafiosi che lucrano sul business dell’immigrazione clandestina e lo sfruttamento degli studenti universitari. Nella sfortuna della pandemia dovremmo pensare anche agli aspetti legati all’erogazione dei servizi a distanza. Non ci basta la politica degli annunci, ci servono fatti concreti.

Ben venga allora un consolato della Tunisia a Bologna : sarebbe ora che si pensi seriamente ad aprire una sede consolare nella regione a maggiore densità di immigrati tunisini in Italia, ovvero l’Emilia Romagna. Ma non si può nemmeno fare finta che nell’anno 2021 e dopo si possa continuare ad erogare servizi amministrativi soltanto in presenza! Il ministero degli esteri tunisino dovrebbe al più presto e appena possibile concretizzare la possibilità di rendere fruibili ai cittadini tunisini, ma anche italiani, dei servizi consolari telematici tramite una piattaforma virtuale securizzata usando identificativi digitali e Posta elettronica certificata. Nei confronti dell’impegno della missione diplomatica e consolare tunisina in Italia, sebbene nutriamo un grande rispetto e una grande stima dello sforzo diplomatico consentito da sua eccellenza l’ambasciatore Moez Sinaoui, abbiamo nonostante ciò registrato alcuni atteggiamenti non consoni con la carica istituzionale devoluta al precedente capo della missione consolare generale a Milano, e continuiamo purtroppo ad osservare degli atteggiamenti inspiegabili al livello di “Dar Tounes”, come la cerimonia organizzata durante il decorso della prima ondata epidemica in Italia, in cui sono stati omaggiati personaggi sui quali nutriamo seri dubbi e serie riserve. Pensiamo infatti, che il ruolo della missione diplomatica e consolare è saper riconoscere i meriti e dare gli incentivi morali necessari ai membri della diaspora che si sono impegnati nel modo più disinteressato e senza calcoli, strumentalizzazioni o affiliazioni.

Crediamo inoltre che a prevalere in sede istituzionale post rivoluzione debba essere soltanto il merito e non i rapporti personali o qualsiasi forma di nepotismo o clientelismo da tifoseria o affiliazioni politiche. Pensiamo che in tale ambito sua eccellenza l’ambasciatore della Tunisia a Roma potrebbe svolgere un ruolo più attivo nella coordinazione super partes, rivolta alla società civile tunisina in Italia, creando maggiori occasioni di interazione tra i membri dell’élite della diaspora, affinché si creino maggiori opportunità per la madre patria e per il branding della diaspora stessa.

La situazione sta peggiorando, facendo allontanare dal volontariato e dalla politica qualche elemento dell’élite italo – tunisina che ha provato a fare arrivare la voce della comunità alle istituzioni e di elevare il dibattito su un tema che vada al di là di clandestinità e spaccio….

Confidiamo inoltre nella capacità degli enti governativi e delle varie istituzioni italiane di favorire nel rispetto delle parità consentite dalle leggi e dalla Costituzione italiana un percorso che possa consentire il successo di una élite fra la gioventù italo tunisina, premiata per il suo merito, affinché possa servire come modello di integrazione per i giovani nati e cresciuti in Italia. Infine, speriamo che quanto descritto e proposto qui sopra, possa in qualche modo giungere al maggior numero di tunisini appartenenti all’elite della diaspora tunisina in Italia e magari incentivarli a prendere contatto con noi, nell’obiettivo di valutare qualsiasi forma di collaborazione nell’interesse generale, specialmente in questo passaggio così impervio della Storia sia a livello internazionale che a livello locale tunisino. Viva l’Italia, viva la Tunisia e viva la cooperazione e l’amicizia italo tunisina.

Adel Chehida & Nabil Labidi

L’opinione espressa in questo articolo è solamente espressione del punto di vista personale degli autori 

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2 Commenti
  1. Nabil Labidi dice

    Una riflessione che si ripropone con particolare interesse legato al rischio di maggiore emarginazione dell’élite della diaspora conto tenuto dell’attuale deriva autoritaria autocrata a Tunisi e di tutte quelle misure prese al vertice di un potere ormai senza freni o meccanismi istituzionali di controllo e di opposizione allo stesso potere.
    Il rischio di soppressione o di emarginazione dei corpi intermedi minano ogni progettualità o prospettiva presente e futura di un credibile attivismo civile e associativo, rovinando di fatto la legittima speranza in una cittadinanza attiva e partecipativa, condizione essenziale alla conquista della dignità e la giustizia sociale di cui era pregna la rivoluzione tunisina.
    Questa riflessione si appoggia, in oltre, al frutto di una sintesi di presenza effettiva sul territorio italiano a contatto di varie realtà della diaspora fra i quali la seconda generazione e propone a che fosse interessato un riferimento che potrebbe essere utile ad ulteriori approfondimenti o dibattiti.
    Essa interpella una diaspora attualmente fratturata, estremamente vulnerabile sia nella sua coesione che nei suoi rapporti con le autorità consolari.
    Ne dovrebbe rispondere l’attuale attivismo populista in cui sono coinvolti alcuni seguaci del regime populista tunisino col benestare e la complicità attiva di alcune autorità consolari come quella che presiede attualmente alle sorti e al funzionamento del consolato generale della Tunisia a Milano.
    Tale coinvolgimento dei consolati ricorda il dominio del pensiero unico prevalso a suo tempo all’epoca di Ben Ali, e gli stessi meccanismi di controllo della diaspora nonché le stesse rovinose pratiche propagandistiche tutte caratteristiche dei sistemi totalitari stanno facendo il loro ritorno sotto le veste del populismo.

  2. Nabil Labidi dice

    Questa emarginazione come si vuole suggerire viene da lontano ed è il risultato di un intreccio di vari fattori.
    In primis, la qualità dell’immigrazione tunisina in Italia, prevalentemente costituita da cittadini tunisini non istruiti e poco qualificati, contrariamente ad altre diaspore tunisine come quelle risiedenti in Francia, Inghilterra, Canada e USA.
    Poi l’assenza di una tradizione di integrazione e di una chiara politica continuativa di immigrazione in Italia, bensì una costante gestione emergenziale senza vera volontà politica di integrazione.

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